Nel numero scorso di K. abbiamo esplorato gli Stati Uniti interrogandoci sugli snodi politici, culturali e identitari che segnano il secondo mandato di Donald Trump. Proseguiamo oggi lungo la stessa traiettoria, concentrandoci su una delle linee di faglia più sensibili del dibattito pubblico americano: la lotta contro l’antisemitismo. Lo facciamo attraverso due nuove conversazioni con figure chiave dell’amministrazione e della società civile statunitense impegnate sul fronte di una battaglia che si rivela sempre più complessa e sfaccettata. Questa settimana vi proponiamo una intervista a Deborah Lipstadt, storica di fama internazionale e già inviata speciale per il monitoraggio e il contrasto dell’antisemitismo sotto la presidenza Biden. Con lei abbiamo discusso delle tensioni e delle ambiguità che oggi attraversano questo campo, alla luce di una congiuntura politica e culturale in rapida evoluzione. La settimana prossima sarà invece la volta di Ted Deutch, direttore dell’American Jewish Committee, con cui abbiamo approfondito ulteriormente il ruolo delle istituzioni e delle organizzazioni ebraiche nel panorama statunitense contemporaneo.
Durante il periodo estivo, inoltre, ogni settimana proponiamo ai nostri lettori un dossier che raccoglie alcuni dei testi, già pubblicati, che riteniamo più importanti. È l’occasione per scoprire o riscoprire un testo meno recente, con l’invito di condividere con qualcuno che ancora non conosce K. alcune delle sue pubblicazioni: il nostro archivio è aperto e vi invitiamo a sfogliare e aiutarci a far circolare le centinaia di articoli che abbiamo pubblicato in oltre quattro anni.
È un insieme eterogeneo, rivelatore delle preoccupazioni dei nostri lettori.
L’indifferenza dopo l’indistinzione. Il silenzio sugli stupri di massa del 7 ottobre è un testo di Julia Christ pubblicato il 29 novembre 2023: cosa dire dei crimini sessuali perpetrati dagli uomini di Hamas il 7 ottobre, documentati ogni giorno un po’ di più dal lavoro di un gruppo israeliano di ginecologi, medici legali, psicologi e esperti di diritto internazionale? E come interpretare l’occultamento della violenza inflitta alle donne quel giorno da parte di una parte dell’opinione pubblica mondiale, comprese le presunte “femministe”? L’occultamento non equivale forse a infliggere una seconda violenza a queste donne, come se il loro calvario non contasse e fosse privo di significato?
Seguono due riflessioni che ci sono parse importanti e utili a comprendere le derive del progressismo contemporaneo:
Di che colore sono gli ebrei?, di Balázs Berkovits, ragiona su come gli ebrei in un discorso critico e militante oggi molto in voga in particolare nei campus americani siano stati definiti come “bianchi”. Perché definire gli ebrei come dominanti o privilegiati e descrivere Israele come un’entità coloniale che pratica l’apartheid? «Nei discorsi sulla “bianchezza ebraica”, gli ebrei non solo cessano di occupare una posizione minoritaria, ma finiscono anche per assumere il ruolo di arci-dominanti», scrive Berkovits, secondo il quale, lungi dall’essere un concetto reale in grado di gettare nuova luce sulla realtà empirica, il termine “bianco” funziona come una qualifica politico-morale molto approssimativa .
Concentrandosi sul caso Judith Butler, poi, Eva Illouz critica le posizioni della sinistra che, scrive, mina gli ideali egualitari e universalisti e apre la strada all’odio verso gli ebrei: «Una certa sinistra intellettuale è diventata la matrice di una politica di odio contro gli ebrei». La famosa filosofa Judith Butler, invitata da un collettivo di associazioni decoloniali e antisioniste, ha dichiarato ancora una volta durante una tavola rotonda che l’attacco del 7 ottobre è stato «un atto di resistenza» e non «terroristico», e che non doveva essere definito «antisemita». Quel giorno ha anche messo in dubbio la realtà delle aggressioni sessuali commesse da Hamas.
Dopo il 7 ottobre: la Shoah, la storia, la memoria nell’intervista a Tal Bruttmann. Dopo il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre, il riferimento alla Shoah è tornato prepotentemente al centro del discorso pubblico. Gli storici della Shoah, in particolare, sono stati sollecitati, interpellati, chiamati a prendere posizione. In molti casi non si sono limitati a rispondere alle richieste dei media ma hanno scelto di intervenire direttamente, soprattutto negli Stati Uniti, spesso assumendo posizioni esplicitamente politiche. In questa intervista Tal Bruttmann riflette sul significato di questo ritorno della storia e della memoria della Shoah come chiave di lettura dell’attualità: cosa implica l’uso sempre più frequente del termine “genocidio” per condannare la guerra condotta da Israele a Gaza? Come si può comprendere l’accusa, ormai diffusa, secondo cui Israele strumentalizzerebbe la Shoah per legittimare la propria azione militare? E che cosa ci dice del nostro tempo il riemergere del tropo secondo cui le vittime di ieri sarebbero diventate i carnefici di oggi?
Un testo più antico e dal successo forse inaspettato attesta come questa nostra epoca faccia riemergere lancinanti interrogativi identitari: l’autore è Jean Baptiste Thoret, su Mr. Klein, film di Joseph Losey. Luglio 1942. Robert Klein è un mercante d’arte parigino che approfitta dell’occupazione per arricchirsi sulle spalle degli ebrei costretti a vendere a basso prezzo le opere d’arte in loro possesso. Un giorno riceve una copia a suo nome di Information Juive. Ma Klein non è forse un buon cattolico francese? Chi è questo omonimo? Si tratta di un errore? Di una manipolazione? Klein parte alla ricerca del suo omonimo, e quindi di se stesso.