“La cosa peggiore è voler rendere l’altro invisibile”, scriveva lo psicoanalista Jean Oury. E il desiderio di rendere l’altro decifrabile, assimilabile alle nostre categorie, rischia di annientare la complessità e il rispetto in un impulso forse inconsapevolmente egemonico e moralmente assolutorio. Un ammonimento ancora più attuale oggi, nell’epoca dell’indignazione riflessa e dell’empatia automatica, in un momento in cui la politica delle “cause giuste” sta accompagnando “i buoni” in un riposizionamento pericoloso.

Concetti che analizza Gérard Bensussan nel suo ultimo libro, Des sadiques au cœur pur. Sur l’antisionisme contemporain, appena pubblicato da Éditions Hermann, di cui presentiamo in anteprima ai lettori di K. un estratto. Un testo necessario, scomodo, che entra nel vivo del rapporto fra antisionismo e antisemitismo, e della trasformazione della causa palestinese in un totem ideologico per una sinistra smarrita, uno dei punti più dolorosi del dibattito politico e intellettuale contemporaneo. Bensussan – filosofo tra i più rigorosi e…

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In Des sadiques au cœur pur. Sur l’antisionisme contemporain (Éditions Hermann, 2025), il filosofo Gérard Bensussan analizza le trasformazioni ideologiche dell’antisionismo contemporaneo. In questo estratto, si sviluppa – all’ombra del 7 ottobre – una riflessione sulla sofferenza palestinese, tra responsabilità etica e lucidità politica.

In Pogrom. Kishinev and the Tilt of History pubblicato da Liveright nel 2018 e da poco uscito in francese per i tipi di Éditions Flammarion, Steven J. Zipperstein ripercorre la storia del massacro di Chișinău, una questione locale trasformatasi in un trauma globale che ha segnato la coscienza ebraica moderna. Non semplice storia di un episodio violento, il testo di Zipperstein racconta come un pogrom - ampiamente pubblicizzato, interpretato e anche mitizzato -  abbia condizionato la storia ebraica contemporanea. Il massacro di Chișinău ha spinto l'ascesa del sionismo, innescato una mobilitazione globale, e dopo aver ispirato letteratura e stampa si è trasformato in paradigma della vulnerabilità ebraica. Lo storico americano usa microstoria e analisi culturale, smontando ogni interpretazione semplicistica e mettendo in discussione la distorsione della memoria spiega come un singolo dramma ha cristallizzato le principali tensioni politiche, sociali e simboliche del XX secolo ebraico.

Dall’attacco del 7 ottobre e la guerra condotta da Israele a Gaza, la parola “genocidio” si è imposta nel dibattito pubblico, quasi una pietra di paragone. Simbolo di impegno intransigente per alcuni, non è più di competenza del diritto: diventa imperativo morale assoluto. In questo testo Matthew Bolton analizza lo slittamento del termine — da accusa dal valore giuridico a condanna ontologica — e mostra come il suo uso, alimentato dalla teoria del “colonialismo d’insediamento”, porti a escludere qualsiasi possibilità di azione politica sulla guerra di distruzione a Gaza condotta dal governo Netanyahu. Poiché affermando che Israele attua una logica di annientamento intrinseca alla sua stessa esistenza, si trasforma l’equazione “Israele = genocidio” in assioma di un’ideologia che rifiuta per principio qualsiasi soluzione politica al conflitto.

Alla cerimonia di conferimento del Premio Internazionale Primo Levi, a Genova, lo scrittore americano Jonathan Safran Foer ha tenuto una lectio magistralis incentrata sui concetti di memoria, responsabilità e indifferenza. Citando i morti a Gaza ha invitato i presenti a mantenere alta la vigilanza morale di fronte alla sofferenza del mondo, a non considerare le difficoltà un ostacolo bensì un punto di partenza e a trasformare i problemi in uno stimolo a ritrovare la forza etica e soprattutto a non trasformarsi in ombre…

A dicembre 2024 la redazione di K. ha portato la rivista a teatro. Il tema della serata, che ha visto la redazione alternarsi sulle tavole del palcoscenico, era “L’ultimo degli ebrei”. Ci sono state interviste dal vivo, video, letture e interventi musicali, e Ruben Honigmann ha proposto un ragionamento sulla fine infinita. Questo il suo testo.

Tra tutte le lettere più o meno piacevoli indirizzate alla redazione di K., una ci ha ha fatto particolarmente piacere… Era firmata da uno dei nostri più stimati collaboratori che, paradossalmente, aveva appena scoperto di scrivere per la rivista.

K. è una rivista online fondata da un gruppo di giornalisti e studiosi che, in un’Europa sempre più attraversata dalle tensioni e in preda alla polarizzazione delle idee, hanno deciso…