Suggerire che combattere l’antisemitismo possa fare il gioco dell’estrema destra potrebbe implicare che le uniche opzioni possibili siano o lottare per la democrazia o lottare contro l’antisemitismo. Non ci si può aspettare nulla di buono da chi cade in una simile trappola. Lo storico americano David Bell, docente a Princeton, nell’intervista concessa a K. testimonia della gravità della situazione nei campus americani. Spiega che è impossibile ignorare che Trump sta strumentalizzando la lotta all’antisemitismo per imporre la sua agenda, rimettere in discussione principi fondamentali e giustificare i suoi attacchi al

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Lo spettacolo dell'estrema polarizzazione che sta infiammando la società americana, in particolare per quanto riguarda il suo sistema universitario, potrebbe farci dimenticare l'importanza che conserva la vecchia tradizione del pragmatismo liberale. L'intervista che ci ha concesso lo storico David Bell, professore a Princeton, ce lo ricorda, rifiutando sia di esagerare che di edulcorare il tema così divisivo dell'antisemitismo nei campus. Mentre Trump e le frange più radicali del progressismo universitario si contendono il diritto di sabotare l'università americana, David Bell indica il punto in cui la lotta contro l'antisemitismo e la difesa dell'università dipendono l'una dall'altra.

Yehudah Mirsky, intervistato da Danny Trom, ripercorre le radici intellettuali e spirituali del sionismo religioso dalle tensioni interne alle sue interpretazioni contemporanee. In filigrana emerge la figura del rav Kook – personaggio insieme mistico e visionario – oggi rivendicato punto di riferimento dalle espressioni tra loro più inconciliabili del sionismo religioso israeliano. Lungo il percorso una domanda: come ha potuto una corrente nata da un ideale di riconciliazione tra tradizione e modernità avere una deriva tale da diventare vettore di un messianismo nazionalista aggressivo?

Keith Kahn-Harris, autore di Everyday Jews: Why the Jewish people are not who you think they are, mette in discussione, con un pizzico di provocazione, la strana e alienante tendenza ebraica di volersi rendere indispensabili al mondo. E se la risposta più bella all’antisemitismo fosse in fin dei conti arrogarsi il diritto alla frivolezza, concedersi un’esistenza perfettamente superflua?

Il conflitto tra Israele e l’Iran dei mullah – che al momento della stesura di questo testo parrebbe essersi chiuso – ha fatto luce sul senso stesso che ha la guerra per Israele. Privando la Repubblica Islamica dell’Iran dei mezzi necessari a perseguire i suoi propositi di annientamento, Israele ridefinisce le condizioni concrete della propria sicurezza. Si impone allora, con rinnovata urgenza, la questione della prosecuzione di una guerra interminabile e sanguinosa a Gaza. Ma lo scontro che si è appena concluso solleva anche un interrogativo sulla passività dell’Europa di fronte alle minacce criminali rivolte da decenni contro lo Stato d’Israele e contro gli ebrei, una passività che non è altro che il rovescio della medaglia della sua indifferenza verso il destino del popolo iraniano.

Mentre prosegue l’operazione israeliana volta a decapitare il regime di Teheran e a colpire il suo programma nucleare, provocando una reazione che investe tutto lo Stato ebraico, Bruno Karsenti e Danny Trom si interrogano sul significato politico di questa grande svolta del conflitto in Medio Oriente. Rispetto alla distorsione del sionismo rappresentata dall’attuale condotta della guerra a Gaza, la guerra contro l’Iran ha un significato completamente diverso, sia per gli israeliani che per l’intero mondo ebraico.

In Des sadiques au cœur pur. Sur l’antisionisme contemporain (Éditions Hermann, 2025), il filosofo Gérard Bensussan analizza le trasformazioni ideologiche dell’antisionismo contemporaneo. In questo estratto, si sviluppa – all’ombra del 7 ottobre – una riflessione sulla sofferenza palestinese, tra responsabilità etica e lucidità politica.

Dall’attacco del 7 ottobre e la guerra condotta da Israele a Gaza, la parola “genocidio” si è imposta nel dibattito pubblico, quasi una pietra di paragone. Simbolo di impegno intransigente per alcuni, non è più di competenza del diritto: diventa imperativo morale assoluto. In questo testo Matthew Bolton analizza lo slittamento del termine — da accusa dal valore giuridico a condanna ontologica — e mostra come il suo uso, alimentato dalla teoria del “colonialismo d’insediamento”, porti a escludere qualsiasi possibilità di azione politica sulla guerra di distruzione a Gaza condotta dal governo Netanyahu. Poiché affermando che Israele attua una logica di annientamento intrinseca alla sua stessa esistenza, si trasforma l’equazione “Israele = genocidio” in assioma di un’ideologia che rifiuta per principio qualsiasi soluzione politica al conflitto.

In Pogrom. Kishinev and the Tilt of History pubblicato da Liveright nel 2018 e da poco uscito in francese per i tipi di Éditions Flammarion, Steven J. Zipperstein ripercorre la storia del massacro di Chișinău, una questione locale trasformatasi in un trauma globale che ha segnato la coscienza ebraica moderna. Non semplice storia di un episodio violento, il testo di Zipperstein racconta come un pogrom – ampiamente pubblicizzato, interpretato e anche mitizzato –  abbia condizionato la storia ebraica contemporanea. Il massacro di Chișinău ha spinto l’ascesa del sionismo, innescato una mobilitazione globale, e dopo aver ispirato letteratura e stampa si è trasformato in paradigma della vulnerabilità ebraica. Lo storico americano usa microstoria e analisi culturale, smontando ogni interpretazione semplicistica e mettendo in discussione la distorsione della memoria spiega come un singolo dramma ha cristallizzato le principali tensioni politiche, sociali e simboliche del XX secolo ebraico.

Alla cerimonia di conferimento del Premio Internazionale Primo Levi, a Genova, lo scrittore americano Jonathan Safran Foer ha tenuto una lectio magistralis incentrata sui concetti di memoria, responsabilità e indifferenza. Citando i morti a Gaza ha invitato i presenti a mantenere alta la vigilanza morale di fronte alla sofferenza del mondo, a non considerare le difficoltà un ostacolo bensì un punto di partenza e a trasformare i problemi in uno stimolo a ritrovare la forza etica e soprattutto a non trasformarsi in ombre…

A dicembre 2024 la redazione di K. ha portato la rivista a teatro. Il tema della serata, che ha visto la redazione alternarsi sulle tavole del palcoscenico, era “L’ultimo degli ebrei”. Ci sono state interviste dal vivo, video, letture e interventi musicali, e Ruben Honigmann ha proposto un ragionamento sulla fine infinita. Questo il suo testo.