Yehudah Mirsky, intervistato da Danny Trom, ripercorre le radici intellettuali e spirituali del sionismo religioso dalle tensioni interne alle sue interpretazioni contemporanee. In filigrana emerge la figura del rav Kook – personaggio insieme mistico e visionario – oggi rivendicato punto di riferimento dalle espressioni tra loro più inconciliabili del sionismo religioso israeliano. Lungo il percorso una domanda: come ha potuto una corrente nata da un ideale di riconciliazione tra tradizione e modernità avere una deriva tale da diventare vettore di un messianismo nazionalista aggressivo?

Danny Trom: Vorrei aprire questa intervista chiedendo quale è la migliore definizione che possiamo dare del sionismo religioso.
Yehudah Mirsky: Penso che sia meglio pensare al sionismo in modo descrittivo, come un termine che copre il denominatore comune di un’ampia gamma di correnti che lo usano per descrivere se stesse da ormai quasi un secolo e mezzo. In questo senso, il sionismo è la posizione secondo cui la sopravvivenza ebraica, fisica e/o cultural-spirituale, nelle attuali condizioni storiche, richiede l’esistenza di un collettivo ebraico di nuovo tipo situato nella storica Terra di Israele. Con questa definizione, possiamo ricomprendere l’intero spettro, da Martin Buber[1] a Meir Kahana[2]. Le domande interne fondamentali diventano, quindi: cosa si intende per sopravvivenza fisica? Cosa si intende per sopravvivenza culturale? E quale è il rapporto tra le due cose? Un collettivo ebraico di nuovo tipo, ma cosa intendiamo per nuovo? Ed è qui che iniziano le discussioni.
Ebbene, il sionismo è nato come serie di risposte al “problema ebraico” che ha sconvolto l’Europa, l’Impero Ottomano e altre parti del mondo alla fine del XIX secolo. Ma quale era esattamente il problema? Nella magnifica formulazione di Achad Ha’am[3] si trattava in realtà di due problemi: il problema degli ebrei (antisemitismo, povertà, ecc.) e il problema dell’ebraismo (perché continuare a essere ebrei dopo le profonde trasformazioni intellettuali, politiche, sociali e culturali della modernità?).
Il sionismo, quindi, nasce come risposta ai problemi – distinti, ma correlati – degli ebrei e dell’ebraismo. Ma non solo il sionismo: la maggior parte dei movimenti ebraici moderno, che si tratti di ebraismo riformato, bundismo[4], socialismo, ultraortodossia, liberalismo ebraico e altro ancora – e ciascuno con le sue innumerevoli permutazioni – nasce come tentativo di risposta ai problemi degli ebrei e dell’ebraismo, e tali risposte emergono dal modo in cui ciascuno definisce le questioni, e le domande.
Quindi, quando parliamo di sionismo religioso passato e presente stiamo parlando di un’altra serie di risposte al “problema ebraico”; una serie di risposte che contengono molta discussione interna e relative varianti. In linea di massima, quindi, i sedicenti sionisti religiosi non sono semplicemente persone religiose che sono anche sioniste, ma un gruppo di tradizionalisti religiosi che tuttavia sostengono l’impresa sionista nel suo complesso, sulla base della loro comprensione della vita religiosa ebraica.
DT: Potrebbe approfondire come e quando si è sviluppato il sionismo religioso?
YM: I gruppi e le correnti del XIX secolo che oggi chiamiamo proto-sionisti e che lavoravano per una nuova comunità e cultura ebraica in Terra d’Israele comprendevano molte figure religiose. Una nota autobiografica personale: il mio primo antenato ad arrivare qui in Terra d’Israele giunse nel 1811 dalla Lituania nell’ambito di quella che è conosciuta come Aliyat Talmidei Ha-GRA[5]. C’è un ampio dibattito storico sulle motivazioni che li spinsero, ma loro e i loro discendenti erano tradizionalisti che lavoravano anche alla creazione di nuove istituzioni in linea con le idee moderne di produttività economica e autosufficienza, esplorazione intellettuale, espressione letteraria e così via. E facevano parte di altri gruppi, più grandi, che avevano idee affini sia in Europa che altrove.
DT: Non si potrebbe sostenere che quello che lei definisce proto-sionismo non fosse in realtà ancora sionismo, dato che non esisteva ancora un progetto politico?
YM: Certo, l’ho chiamato proto-sionismo, e una volta che Herzl ha creato il movimento sionista queste persone, come molte altre, hanno dovuto decidere cosa pensare e cosa fare al riguardo. Molti di loro furono coinvolti nella creazione, nel 1902, del Mizrachi, il primo partito sionista esplicitamente religioso all’interno dell’Organizzazione Sionista Mondiale[6]. Una delle questioni con cui dovettero confrontarsi fu se continuare o meno il lavoro religioso-culturale che facevano per rinvigorire l’ebraismo tradizionale attraverso il nuovo movimento sionista oppure no. Per i fondatori del Mizrachi era meglio tenere separate le due cose: essi comprendevano chiaramente il drastico allontanamento del sionismo dalla vita religiosa tradizionale, anche se vedevano nel sionismo la migliore risposta disponibile alle difficoltà politiche, sociali ed economiche degli ebrei. Per decenni, a Hibat Zion[7] e altrove, avevano discusso in modo creativo dell’integrazione di aspetti del pensiero moderno con l’ebraismo ma non vedevano nel sionismo politico il veicolo per quel tipo di lavoro culturale e spirituale.
Gli abitanti di Hibat Zion, non tutti religiosi nonostante avessero le loro radici nell’Europa orientale, non nutrivano aspirazioni politiche nazionali anche perché all’epoca, per quanto era possibile capire, gli imperi europei erano destinati a rimanere tali, in Europa e nel resto del mondo. Questo è un punto che sottolineo sempre con i miei studenti: quando Theodor Herzl convocò il primo Congresso sionista, nel 1897, non aveva idea non solo che sarebbe morto presto, ma che gli Ottomani, gli Asburgo e i Romanov sarebbero scomparsi, che la Gran Bretagna sarebbe emersa come potenza dominante in Palestina e molto altro ancora. Nessuno lo sapeva. Proprio come noi oggi, che avanziamo a tentoni nell’ignoranza totale di ciò che ci riserva il futuro.
Molti pensatori ortodossi comprendono che il sionismo è un movimento profondamente secolarizzante, un disincanto rispetto alla tradizione.
DT: Una delle interpretazioni del sionismo è che fosse più una rivolta contro la tradizione, un progetto politico moderno. E lei ha detto che il sionismo religioso è legato alla tradizione. Come si può rispondere a questa discrepanza?
YM: Mi spiego meglio. Certo, in un certo senso è una ribellione contro la tradizione ma alla tradizione è comunque profondamente legata, anche se in maniera dialettica. Ovviamente il sionismo non avrebbe potuto nascere senza il tradizionale desiderio di ritorno degli ebrei a Sion, ecc. È difficile dire che per Herzl il suo sionismo fosse una ribellione consapevole contro la tradizione, perché lui stesso aveva un’idea molto limitata di cosa fosse la tradizione. Ma sì, gran parte dell’avanguardia ideologica, specialmente nel sionismo dell’Europa orientale, è costituita da persone che si considerano in aperta ribellione contro la tradizione ebraica, una ribellione resa più intensa dal fatto di essere cresciuti in una società tradizionale e religiosa, anche se molte delle masse ebraiche tradizionali dell’Europa orientale vedono il sionismo come la continuazione delle tradizionali speranze messianiche, con mezzi diversi. Naturalmente, molti altri non la vedevano in questo modo, non da ultimo i numerosi rabbini ortodossi che si opponevano profondamente al sionismo, e avevano ottime ragioni per farlo.
Questi rabbini vedevano chiaramente il sionismo come una serie di rinunce: rinuncia alla legge halakhica[8] che aveva guidato la vita ebraica per secoli; alla tradizione politica rabbinica che accettava una vita da minoranza sotto le maggioranze ‘gentili’ come un esilio decretato da Dio, che sarebbe terminato solo quando Dio avesse deciso che sarebbe giunto il momento e come ricompensa per la fedeltà alla halakhah e alla tradizione.
E naturalmente quando si arriva alle dimensioni culturali del sionismo, molti pensatori ortodossi comprendono che il sionismo è un movimento profondamente secolarizzante, un disincanto rispetto alla tradizione. Si prenda ad esempio il nuovo uso dell’ebraico come lingua parlata quotidiana. Eliezer Ben Yehuda, figura centrale nella creazione dell’ebraico moderno parlato, sfida apertamente i testi tradizionali da cui attinge per la sua nuova lingua.
Ad esempio nel primo capitolo di Ezechiele i cieli si aprono e il profeta ha una visione sconvolgente di Dio. Al culmine della manifestazione divina, sospesa sopra il trono di Dio, c’è una luce misteriosa, chiamata “hashmal”, una parola che appare solo una volta (Ezechiele 1:27). Ed è proprio questo che Ben Yehuda chiama elettricità, ovvero la comune lampadina. Egli svuota le parole sacre della loro trascendenza, così come il sionismo in generale svuota le idee tradizionali non solo della lingua, ma anche della terra e dell’identità popolare, della loro carica sacra, proprio affinché possano ora servire come strumenti per la costruzione della nazione piuttosto che del divino. Non sorprende affatto che molti rabbini si siano opposti a questo.
Ora, i rabbini che – come abbiamo detto – nel 1902 fondarono Mizrachi, il partito sionista religioso all’interno del movimento sionista, stavano già in effetti esplorando i confini del modernismo e della tradizione ebraica, ma non vedevano il loro sionismo come parte di questo. La loro posizione fondamentale era che il sionismo era la migliore opzione disponibile per migliorare la condizione sociale, politica ed economica degli ebrei, a condizione che tenesse fuori la religione e la cultura. A proposito, parte di ciò che rese Chaim Weizmann[9] una figura interessante e importante nel movimento sionista fin dall’inizio fu il fatto che fu uno dei primi a cercare di conciliare il sionismo politico di Herzl con il sionismo culturale di Achad Ha’am, ma a differenza di Achad Ha’Am, che era un elitario dichiarato, cercò di costruire un movimento di massa.
DT: È possibile che la fazione democratica di Weizmann nei primi Congressi sionisti cercasse di allineare il programma politico di Herzl con un programma culturale, concentrandosi sulla promozione della lingua ebraica e non della religione? E la posizione iniziale dei Mizrahi, in particolare quella del rabbino Reines, non era forse quella di mantenere rigorosamente separate in due sfere distinte il messianismo e le necessità politiche del momento? Questa separazione permise al rabbino Reines di unirsi a Herzl su base politica. Il rabbino Reines affermò anche che bisognava evitare di mescolare la spinta messianica e la politica quotidiana. Cosa ne pensa di questo allontanamento dal concetto originale di sionismo religioso?
YM: Come dicevo il sionismo religioso ha assunto molte forme e, naturalmente, il sionismo risolutamente politico e non messianico di Reines è una parte importante della storia.

Il Mizrahi[10] era caratterizzato fin dall’inizio da un grande pragmatismo politico, come in molti modi lo era HaPoel HaMizrahi, il partito dei lavoratori mizrahi esplicitamente di sinistra fondato circa vent’anni dopo, che si identificava nella rivoluzione culturale del sionismo. Per diversi decenni questi due filoni paralleli di sionisti religiosi, borghesi e socialisti, si sono impegnati sempre più in questioni culturali e religiose. Nel 1956 si fusero e crearono il Partito Nazionale Religioso, il principale veicolo della politica sionista religiosa per i successivi cinquant’anni, risolutamente moderato fino alla metà degli anni Settanta, prima di rivolgersi esplicitamente al messianismo dopo la guerra del 1970. Il Partito Nazionale Religioso iniziò a frammentarsi con il ritiro da Gaza del 2005, dando infine origine ai vari schieramenti sionisti religiosi odierni.
DT: Pensa che il semplice pragmatismo possa effettivamente temperare l’ideologia religioso-messianica?
YM: Non il “semplice” pragmatismo (con cui immagino lei intenda tecnocratico, disincantato), ma il pragmatismo religioso basato su principi, che è una storia diversa. Le dimensioni religiose non sono mai lontane dalla superficie nella politica, per lo meno certamente in quella ebraica; la questione è come esse si traducano o meno in una filosofia della storia e in un’ideologia politica.
Tale traduzione concettuale può assumere forme diverse; Reines e gran parte della corrente principale del Mizrachi si consideravano semplici applicatori delle tradizionali virtù rabbiniche della moderazione politica alle circostanze drammaticamente mutate della modernità. Tuttavia, alla fine degli anni Trenta figure di spicco come Judah Leib Maimon o i rabbini capo Isaac Herzog e Ben-Zion Uziel (tutti pensatori significativi che meritano uno studio attento), vedevano il sionismo come un veicolo per ogni tipo di rinnovamento religioso, anche senza una teologia politica messianica.
Un’altra forma di traduzione è la critica teologico-politica del sionismo, che lo vede come una sorta di idolatria nazionalista. Per molti versi il miglior rappresentante di questa corrente è Isaac Breuer[11] (1883-1946), che articola una critica del sionismo da una posizione che mescola ultraortodossia e neokantismo (e, a differenza di altri antisionisti ultraortodossi, lo fa partendo da un profondo impegno con la filosofia moderna e la teoria politica). Il nonno di Breuer, il leggendario rabbino Samson Raphael Hirsch[12] (1808-1888), aveva sostenuto che l’ebraismo, contrariamente al movimento riformista, non è una religione, ma una nazione, costituita e governata dalla legge morale di Dio. Ampliando questo concetto Breuer sostiene che un ordine politico di pura etica inteso come legge, cioè la halakhah ortodossa, supera sia l’individualismo liberale che il nazionalismo sciovinista.

E poi c’era rav Kook[13], la prima grande figura rabbinica e primo grande pensatore ad affermare la rivoluzione sionista, così come la intendeva, all’interno dei termini della tradizione rabbinica e della filosofia e teologia ebraica.
In gioventù rav Kook, come molti prodigi rabbinici, studiò alla grande yeshiva di Volozhin[14] che era una sorta di serra per la formazione di figure di spicco, dai principali talmudisti ultraortodossi, come Haim Solovetichik[15], ai letterati rivoluzionari, come Bialik. Micha Yosef Berdyczewski era letteralmente un compagno di classe di Kook e negli anni successivi alla loro uscita dalla yeshiva si leggevano e si rispondevano, a volte in modo esplicito. Durante gli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento rav Kook, mentre prestava servizio come rabbino di comunità, oltre agli studi talmudici e halakhici si immerge nella filosofia e nella kabbalah e avverte acutamente le correnti del cambiamento che turbinano intorno a lui, e dentro di sé. È anche sempre più affascinato da questi ribelli che rifiutano la tradizione non per una vita più facile ma per una vita di lotta basata sui principi, per il popolo ebraico e per le masse… Arriva a vedere attraverso questi rivoluzionari sionisti l’opera della mano di Dio, non solo per migliorare le condizioni degli ebrei, ma anche per generare importanti correttivi a problemi come la stagnazione religiosa, l’insularità e l’insensibilità morale che la tradizione rabbinica non sarebbe stata in grado di generare da sola. Il suo pensiero su questo tema si intensifica notevolmente dopo il suo trasferimento nel 1904 a Jaffa, che era il centro metropolitano della nuova comunità ebraica in Palestina e, dal 1909, il nucleo della città radicalmente nuova, Tel Aviv.
Anche rav Kook è consapevole dei pericoli morali del nazionalismo puro, soprattutto nei suoi primi scritti. A differenza degli appartenenti al Mizrahi era come minimo ambivalente nei confronti del movimento politico sionista, che gli sembrava privo di anima. D’altra parte, il rinascimento ebraico nazionale, culturale, artistico, sociale e spirituale scatenato dal sionismo lo infiammò.
Come molti altri si avvicinò al sionismo perché lo aiutava a risolvere questioni filosofiche e teologiche fondamentali, o antinomie: il corpo e l’anima, il popolo ebraico e tutti gli altri, l’ebraismo della Torah e quello dei rabbini, la profezia e la legge. Inoltre gli offriva una sorta di teodicea della modernità. Dio è sempre presente e la sua provvidenza è sempre all’opera. Come spiegare allora il tracrollo massiccio della vita ebraica tradizionale, accompagnato da una straordinaria creatività ebraica e da movimenti per la giustizia sociale? È il modo in cui Dio porta gli ebrei dall’esilio alla redenzione, per il loro bene e per il bene del mondo.
È importante notare che egli sviluppa il suo pensiero teologico non in libri e pubblicazioni convenzionali ma in quaderni personali, dai quali i suoi discepoli hanno successivamente selezionato e curato le sue opere canoniche. Nei quaderni lavora per sviluppare non solo nuove idee ma anche un nuovo linguaggio letterario che usa per esplorare la teologia ebraica, attingendo a quasi tutti gli strati della storia testuale ebraica in uno stile che mescola pensiero filosofico, esperienza personale e poesia lirica. Questo non è un aspetto secondario del fascino che le sue opere esercitano sui lettori, compresi gli accademici. Leggerlo è una sorta di esperienza intellettuale religiosa.
Per Kook, la storia ebraica procede in modo dialettico, per fasi. La Torah è tutta incarnazione, piena di politica, desiderio, aspirazioni, drammi umani, poesia e inondata dall’immediatezza della profezia.
DT : Sebbene queste possano essere in parte domande metafisiche, quando si tratta della sua visione politica, come interpreta il distacco di Kook dalla posizione Mizrahi, in particolare la sua convinzione dell’intima relazione tra speranza religiosa e sionismo? Vede davvero il ritorno alla terra come l’inizio della redenzione di Israele?
YM: Sì. Per Kook, la storia ebraica procede in modo dialettico, per fasi. La Torah è tutta incarnazione, piena di politica, desiderio, aspirazioni, drammi umani, poesia e inondata dall’immediatezza della profezia. Questa è la tesi. L’ebraismo rabbinico, esiliato, mobile, interiorizzato, spiritualizzato, legalmente razionale e poiché del tutto lontano dalla tentazione morale del governo e dell’arte di governare, profondamente etico, è l’antitesi. E la sintesi? Sarà la rinascita nazionale ebraica nella terra storica di Israele, e i suoi araldi sono proprio i ribelli e i rivoluzionari ebrei dell’Europa orientale.
DT : Vedi delle affinità tra Kook e Berdyczewski? Quando Berdyczewski leggeva Nietzsche pensava che gli ebrei dovessero agire, agire senza Dio. Questa era la novità della posizione di Berdyczewski e di altri sionisti: non esiste una provvidenza divina, solo l’attivismo. Kook, invece, li guarda da una prospettiva esterna: sebbene i sionisti agiscano, non sanno cosa fanno perché è la provvidenza che li guida segretamente. È corretto?
YM: Esatto! Come abbiamo detto prima, erano contemporanei e si seguivano a vicenda. Ognuno rispondeva al senso di crisi del tempo, con Berdyczewski che sollecitava costantemente la rivoluzione e Kook che sollecitava costantemente una lettura più dinamica della tradizione, che riconoscesse le spinte al cambiamento e le incanalasse.
Rav Kook legge anche Nietzsche, che vede come una sorta di Shabbatai Zevi, intuendo l’immanenza divina e il suo potere esplosivo, ma senza rendersi conto di quanto possa essere distruttivo quel potere. I rivoluzionari sionisti laici stanno quindi creando nuovi canali per la passione divina che, se pensati con attenzione, porteranno a una guarigione e a una redenzione più ampie.
Si tratta di concetti complessi. Alcuni dei primi sionisti furono profondamente commossi dalla simpatia e dal sostegno di questa importante figura rabbinica che, a differenza della maggior parte degli altri rabbini, comprendeva il dinamismo spirituale e la passione morale di questi giovani. Altri naturalmente lo odiavano, terribilmente, perché sembrava riportare la loro ribellione nella tradizione che avevano faticosamente rifiutato e perché li capiva meglio di loro stessi.
DT: È vero. Non è così quindi? Kook forse fingeva di capire meglio quello che stavano facendo, fingeva che stessero facendo il contrario di ciò che era la loro sincera motivazione?
YM: Alcuni, come Yosef Chaim Brenner, dicevano esattamente questo. Altri, come Berl Katznelson, si consideravano ancora legati all’etica e alla spiritualità ebraica tradizionale e apprezzavano il fatto che rav Kook cercasse di vederli in quel modo. In questo senso Kook non è un pensatore liberale, un pluralista individualista. Era piuttosto un pensatore fin de siècle, capace di discernere i grandi movimenti storici alla base dell’evoluzione delle idee. Allo stesso tempo, rabbino fino al midollo, pensava che la sintesi tanto attesa richiedesse attenzione e tempo.
DT: Richiede l’astuzia della storia, come nella filosofia di Hegel. Le persone agiscono ma non sanno cosa fanno, la storia rivelerà loro in seguito il senso di ciò che hanno realizzato.
YM: Sì, Kook ritiene che ciò richieda un certo grado di autocoscienza che ritiene lui e altri come lui possono raggiungere. E qui è influenzato dall’idee chassidica dello tzaddik come specchio spirituale delle persone che lo circondano.
Vede i giovani in questo modo perché condivide gran parte del loro malcontento spirituale. Condivide la loro ricerca di forme individuali di espressione religiosa, di una forma individualizzata di espressione religiosa. Le idee di Charles Taylor sull’espressivismo (secondo cui gran parte del pensiero e della cultura moderni sono tentativi di trovare la verità dentro di sé e di esprimerla piuttosto che riceverla dall’esterno) sono estremamente utili in questo contesto. Kook vede che lui stesso ha lottato per trovare nuove forme di espressione e nuove idee, e vede in sé stesso correnti di personalità diverse e contrastanti e capisce che anche gli altri sono così nella società.
In un passo molto famoso del 1910, Kook scrive: “Tre forze sono all’opera nel popolo ebraico, come del resto sono all’opera in tutti i popoli e in ogni essere pensante e umano. Un senso di appartenenza al gruppo, un senso di etica universale e un desiderio di trascendenza del divino. Nel popolo ebraico, oggi, ognuna di queste forze è diventata una proprietà del nostro cuore”. Si ha quindi, per così dire, il partito nazionalista, il partito universalista e il partito della trascendenza (che è quello ortodosso). Idealmente, i tre dovrebbero lavorare insieme. Un punto cruciale del suo modo di pensare è che questa maniera di pensare teologica mira a comprendere i disaccordi umani. Qui Kook è profondamente influenzato dalla kabbalah, sotto molti aspetti. Egli prende il mondo estremamente diversificato delle sefirot come mappa guida per attraversare la condizione ebraica, umana e cosmica. L’universo è strutturato da forze che sembrano essere in opposizione e in ultima analisi in conflitto, e che agiscono dinamicamente attraverso il tempo. Parte dell’innovazione di Kook come cabalista, nel bene e nel male, è stata quella di vedere le categorie cabalistiche all’opera nei movimenti sociali e politici concreti del suo tempo. E qui è influenzato dai pensatori cabalistici, e in particolare da Moshe Chaim Luzzatto[16], per il quale la redenzione è un processo che avviene nel e attraverso il tempo storico.
DT: Mi sembra che usare la Kabbalah come lente per interpretare il mondo possa essere piuttosto lontano dallo spirito del sionismo moderno, emerso dalla Haskalah. Potrebbe essere che il sionismo religioso rappresenti un’influenza delle idee anti-haskala all’interno del movimento sionista?
YM: Direi due cose. In primo luogo, per quanto riguarda l’uso della kabbalah come roadmap per la modernità, dovremmo ricordare che essa è profondamente legata al neoplatonismo. Basta dare un’occhiata al magistrale Main currents of Marxism di Leszek Kolakowski[17]. Prima ancora di iniziare a parlare di Marx dedica quasi cento pagine al neoplatonismo. Rav Kook si ispira ai filosofi idealisti neoplatonici e non dimentichiamo che il neoplatonismo ha influenzato in modo determinante anche la kabbalah. In altre parole Kook fa parte di questa storia più ampia, della profonda influenza del neoplatonismo sulle filosofie moderne della storia. In secondo luogo, per quanto riguarda la haskala, ce n’erano di vari tipi, proprio come ce n’erano di vari tipi di Illuminismo (si pensi alle differenze reali tra il pensiero illuminista in Scozia, Francia e Germania): alcuni altamente razionalisti, altri molto più romantici, molto più legati alla nazione, certamente man mano che ci spostiamo verso l’Europa orientale. Inoltre, c’è una sottile relazione tra la haskala e l’umanesimo rabbinico premoderno. Nel corso della storia abbiamo importanti figure rabbiniche che scrivono filosofia, grammatica o poesia. L’haskala è ciò che accade quando queste preoccupazioni diventano parte di un programma consapevole per rifondare la società ebraica, per portare o spingere o guidare la società ebraica sulla scia dell’Europa moderna. E come abbiamo detto si presenta in molteplici stili, razionalisti, romantici e con ogni tipo di variazione intermedia.
Ora, Rav Kook è un pensatore acutamente dialettico. Nel clima altamente conflittuale della Palestina del 1910 egli afferma che ogni campo deve avviare un processo di riconciliazione con l’altro. Ognuno deve trovare il buono in ciò con cui non è d’accordo. Il nazionalista sfida me, l’universalista, a preoccuparmi del mio popolo. E io sfido il nazionalista dicendogli che non è un essere umano completo se si preoccupa solo del suo popolo. La trascendenza pone un grande punto interrogativo divino su tutti noi. Cercare attivamente di imparare da persone con cui si è in profondo disaccordo è difficile, ma, secondo lui, assolutamente necessario. Allo stesso tempo come pensatore rabbinico Kook crede nella legge, nella halakha. La sua critica al cristianesimo è che non si può sostituire la legge con l’amore, perché la legge è l’unico modo per rendere questo mondo migliore. Il sionismo ha senso solo nella sua storiosofia religiosa. Kook vede un ruolo per la tradizione nell’aiutare a preparare la strada per un nuovo ebraismo che trascenda le categorie familiari di religione, religiosità e secolarità. E vede tutte le correnti partecipare a questa visione, compresi gli ultraortodossi che lo hanno aspramente osteggiato e attaccato. In realtà è molto nobile.

DT: Può dirci qualcosa sulla visione di Kook per quanto riguarda la terra? Abbiamo iniziato con Reines, che ha associato e separato la visione tradizionale ebraica del mondo dal sionismo politico, al punto da votare a favore del piano Uganda al Congresso sionista.
YM : La leadership politica del sionismo religioso era allora nelle mani dei Mizrahi, con cui Kook aveva sempre avuto un rapporto difficile, poiché la sua visione di ciò che la rinascita nazionale ebraica poteva realizzare era vasta e difficilmente traducibile in termini politici. Ma Mizrahi aveva bisogno di lui, così come del resto anche i sionisti laici. Era una figura rabbinica enorme (vale la pena ricordare che anche la maggior parte dei suoi oppositori lo riconoscevano regolarmente come un uomo di grande erudizione e, nella sua pratica religiosa, un santo) che sosteneva il progetto sionista e aveva una teologia completa per realizzarlo ma lavorava su un piano molto diverso da quello Mizrahi. I successori di Reines, come il rabbino Maimon (che fu tra i firmatari della Dichiarazione d’indipendenza di Israele), erano abili politici e costruttori di istituzioni, mentre lui, oltre ad essere un giurista e un leader comunitario, è soprattutto un visionario e un pensatore.
La prima guerra mondiale è un momento cruciale in questo senso. Kook fin dall’inizio della guerra è presente in Europa dove, dai rifugi in Svizzera e in Inghilterra, assiste al suicidio della civiltà occidentale. È allora che le sue critiche al cristianesimo raggiungono il loro apice, poiché attribuisce la responsabilità ultima della guerra all’abbandono della legge da parte dei cristiani.
Egli arriva a vedere la Grande Guerra come guerra dell’apocalisse, lo scontro tra Gog e Magog[18] che precede la redenzione.
Nel 1904, alla morte improvvisa e inaspettata di Theodor Herzl, egli intravede la realizzazione dell’idea presente nei testi del Secondo Tempio e rabbinici secondo cui un primo messia politico, il figlio di Giuseppe, avrebbe preparato la via e sarebbe morto prima dell’avvento del messia universale e spirituale, il figlio di Davide. Molti videro nella Dichiarazione Balfour del 1917[19] un segno messianico ma, date le sue decennali riflessioni al riguardo, essa colpì Rav Kook con notevole forza.
È interessante notare che nei suoi primi scritti, prima della sua emigrazione in Palestina nel 1904, la terra di Israele non compare molto. Certo, appare, ma non come categoria teologica indipendente bensì come lente attraverso cui valutare idee più ampie. Al contrario il popolo ebraico è sempre una categoria teologica per lui in quanto base terrena e materiale del divino. Nella Kabbalah, la comunità sacra di Israele è vista ontologicamente come parte integrante della Torah orale, della Terra di Israele e della Shekhinah[20], tutte manifestazioni della presenza di Dio nel tempo e nello spazio. Ecco perché per lui le azioni, le azioni idealistiche del popolo ebraico sulla sua terra sono parte di una rinascita nazionale, i suoi passi ontologici nel mondo. Ed è così che si arriva alla sua affermazione: “La terra di Israele non è un pezzo di proprietà appartenente alla nazione”. È una dimensione a sé stante della presenza di Dio, destinata ad essere colonizzata dalla comunità di Dio, a beneficio di tutta l’umanità.
DT: Qui c’è una fusione completa tra teodicea e sionismo.
YM: Eppure il posto dello Stato nella sua visione non è chiaro. Alcuni potrebbero essere religiosi e pensare che lo Stato ebraico sia davvero buono, importante, prezioso e utile, persino cruciale, necessario. Per rav Kook la terra stessa è sacra. Non è significativa perché sarà utile per la produttività agricola ebraica e farà progredire l’impresa nazionale ebraica. Il mio corpo dietro l’aratro nella terra di Israele fa parte della rinascita nazionale, che include l’ebraico, la spiritualità, ed è esso stesso una manifestazione della presenza di Dio. È di per sé un tentativo di superare l’alienazione di Dio dal mondo, come se improvvisamente trascendenza e imminenza si fondessero insieme. Il sionismo, per così dire, svuota una coppa piena di tradizione, un popolo, una terra. Il movimento sionista usa questa coppa vuota per costruire uno Stato. La terra è ora la sua piattaforma e il popolo una nazione che si può trasformare in uno Stato. La lingua ebraica è una lingua nazionale, proprio come ogni nazione ha la propria. Ciò che fa il sionismo religioso, specialmente negli anni successivi al 1973, è reinserire i significati religiosi più antichi, per – in un certo senso – riempire nuovamente la coppa.
Certamente gli immediati successori di Rav Kook come rabbini capo, rav Herzog e rav Uziel, avevano idee sulla redenzione, ma erano fondamentalmente, per quanto idealisti e spirituali, pragmatici costruttori di istituzioni. Non hanno una visione storico-filosofica radicale come Kook. Dopo il fallimento della guerra del 1973 l’establishment laburista si è screditato e tutti i gruppi che si erano sentiti secondari, o emarginati dall’establishment laburista (come gli ebrei sefarditi o i sionisti revisionisti) hanno iniziato ad affermarsi come mai prima d’ora, così tutti questi giovani sionisti religiosi, studenti di seconda e terza generazione del rabbino Kook, hanno preso il contenuto religioso e lo hanno riversato nella costruzione dello Stato, in modo che la terra di Israele fosse allo stesso tempo una cosa spirituale e una cosa molto concreta. Nella loro mente, erano loro i veri eredi dei pionieri sionisti rivoluzionari.
DT: Prendiamo la tua immagine della coppa. Riempiendo la coppa, hai posto fine al senso tradizionale del popolo ebraico, perché l’ebraismo e l’esilio sono inseparabili. Si esce dal regno dell’esilio. La politica ebraica, premoderna e moderna insieme, ha due facce. Una faccia è la politica in esilio, l’altra è la politica per sfuggire all’esilio. La seconda faccia a parte brevi momenti è stata inibita. Fino a ora la mia comprensione del sionismo politico era che si trattasse di uno sviluppo della vita politica ebraica in esilio e non della sua abolizione. Ora, dopo avere ascoltato, mi chiesto se questo significa che il sionismo politico è la politica di fine della storia, ciò che chiamiamo messianismo?
YM: Come ho detto, Rav Kook non è chiaro sulla sua visione dello Stato e delle sue istituzioni. Inoltre, è un pensatore dalle idee molto vaste, il che rende molto difficile tradurre la sua teologia in politica (anche se molti dei suoi discepoli pensano di poterlo fare).
Capisco cosa intende dire, ed è un’idea affascinante: che sionismo significa continuare il pensiero dell’esilio, compreso il suo profondo sospetto nei confronti del potere.
Di sicuro rav Kook a differenza di altri pensatori sionisti non voleva abbandonare l’ebraismo della Diaspora ma sintetizzarlo in qualcosa di nuovo.
Lei solleva due questioni, una descrittiva – cosa sta succedendo – e una normativa – come dovremmo pensare e agire al riguardo?
Dal punto di vista descrittivo è difficile immaginare una politica ebraica incentrata sulla terra storica di Israele e sulla creazione di un collettivo ebraico che non porti inevitabilmente alla luce tutte queste cose, come ha scritto Scholem nella sua famosa lettera a Rosenzweig[21]. Inevitabilmente queste cose verranno fuori o, se vogliamo dirla in modo un po’ diverso, la teologia politica diventerà una questione molto importante. Poi c’è una questione normativa su cosa fare una volta che si ha questo movimento per tornare alla terra storica di Israele, soprattutto perché attinge a tutte queste idee tradizionali del ritorno a Sion.
DT: In quella lettera Scholem esprime preoccupazione per gli effetti potenzialmente esplosivi e violenti della secolarizzazione della lingua ebraica, e quindi preoccupazione per il sionismo, che è come dinamite che potrebbe esploderti in faccia…
YM: Quello che succede dopo il ’67, nel 1973, è che la traduzione delle idee di Kook da parte di suo figlio rav Zvi Yehudah Kook[22] lo pone in una posizione politica molto definitiva: l’avvento messianico sta accadendo nello Stato di Israele e attraverso di esso, e noi sappiamo come portarlo avanti. (Ricordiamo che rav Kook muore nel 1935, quindi non sappiamo cosa avrebbe detto della Shoah e della fondazione e dello sviluppo dello Stato di Israele).

Personalmente, sono un discepolo del defunto rav Yehuda Amital[23]. Rav Kook ha un corpus vasto e ramificato, ricco di idee che vanno in molte direzioni. Qual è la chiave interpretativa? Per il mio maestro, rav Amital, è ciò che Kook ha detto sulla centralità schiacciante dell’etica, compresa l’etica universale che il popolo ebraico condivide con tutte le persone di buona volontà in tutto il mondo.
Vedo Smotrich come una sorta di leninista con la kippah: pensa di essere l’unico a comprendere correttamente la storia e che tutti gli altri si sbaglino. Questo perché i suoi maestri hanno tradotto il pensiero dinamico e in continua evoluzione di rav Kook in una serie di dogmi.
DT: Questo significa che l’opera di Rav Kook è ambigua?
YM: Sì. Non ambigua in termini di formulazioni studiate deliberatamente. I suoi scritti sono lirici, ampi, penetranti, con una notevole profondità di sentimenti e un lirismo sublime. Ma non è un pensatore politico. Si occupa della società, della cultura, dell’identità nazionale. Parla molto poco di diplomazia, di arte di governo, di istituzioni politiche, ma rav Kook a volte scrive di democrazia nei suoi primi scritti. Durante la prima guerra mondiale ha scritto un famoso passaggio in cui dice che in un’epoca in cui non c’è un re il popolo assume l’autorità del re, ciò che viene chiamata sovranità popolare. Per Kook il messianismo è un processo ampio. Per lui è fondamentale l’idea che la restaurazione del tempio è inconcepibile senza la restaurazione del Sinedrio perché si tratta di un pacchetto completo: la rinnovata presenza di Dio sulla terra sarà anche un processo giuridico rivitalizzato. Secondo rav Kook non si può avere un tempio senza il Sinedrio, senza la legge. Questo è ciò che Ben Gvir e i suoi sostenitori non capiscono. Kook è consapevole del potenziale violento del nazionalismo. Ma il nazionalismo ebraico è guidato dalla Torah e dalla provvidenza divina che non richiede un ritorno a Sion attraverso la violenza. Ammetto che Kook è qui un po’ ingenuo dal punto di vista politico. Il successo del sionismo religioso negli ultimi decenni ha molteplici ragioni, tra cui il fallimento del sionismo laico nel mantenere la propria vitalità culturale e spirituale. Il sionismo deriva gran parte del suo potere dal suo rapporto acutamente dialettico con la tradizione ebraica. Quando Ben Gurion si considerava l’erede dei profeti ebraici, non stava scherzando.
DT: Io comprendo quindi che quando Ben Gurion parlava di profezia si riferiva a concetti come giustizia sociale e pace, accessibili e comprensibili a tutti. Tuttavia se qualcuno interpreta le intenzioni di Dio attraverso la kabbalah, ciò può ancora essere considerato razionale, anche in senso lato?
YM: Non credo che si possa classificare la kabbalah come “irrazionale” in tutte le sue forme, anche se è certamente satura di miti. Allo stesso tempo gran parte della kabbalah è in profondo dialogo con la filosofia, medievale naturalmente, ma anche moderna[24].
Chiaramente, che sia razionale o meno, è illegittima in una società democratica. Se consideriamo la visione di rav Kook come una lettura esoterica della storia la domanda è: quale legittimità ha nella sfera pubblica? Questo è uno dei punti su cui c’è un divario insormontabile tra me e persone come l’attuale ministro delle finanze israeliano, Bezalel Smotrich.

Vedo Smotrich come una sorta di leninista con la kippah: pensa di essere l’unico a comprendere correttamente la storia e che tutti gli altri si sbaglino. Pensa di essere l’avanguardia, di dover prendere le redini del governo e dirigerlo secondo binari che deve seguire, cosa che non è possibile capire. Questo perché i suoi maestri hanno tradotto il pensiero dinamico e in continua evoluzione di rav Kook in una serie di dogmi.
Al contrario, rav Kook è un pluralista (ma non un liberale). Ed è anche un grande ottimista. Vede le persone come motivate da ideali. Non parla quasi mai con chi è motivato dalla brama di denaro o di potere, perché non li ritiene teologicamente significativi. Allo stesso modo, Kook non vede il materialismo come una forza spirituale nel mondo. Non scrive di marxismo, è interessato al socialismo e all’anarchismo perché li considera credenze spiritualmente significative.
DT: Nella visione di Kook, il popolo e la terra sono legati. La redenzione arriva attraverso il raduno del popolo ebraico nella terra promessa.
YM: E quel raduno è anche ciò che rende possibili nuovi tipi di arte, letteratura, poesia e pratica religiosa.
DT: Lei solleva un punto interessante sulla legittimità della terra. Se la legittimità deriva dal viverci come maggioranza e dal lavorarla, sembra allinearsi con una prospettiva nazionalista moderna. Ma se la terra è vista come sacra ciò potrebbe portare a questioni più complesse. Lei personalmente sembra avere un’interpretazione liberale e universalistica delle idee del rabbino Kook, sostenendo il pragmatismo e la non violenza. Ma pensa che la posizione sionista religiosa, per sua natura, possa creare un quadro che potrebbe logicamente portare al conflitto?
YM : Penso che ci siano dimensioni politico-teologiche latenti nell’impresa sionista nel suo complesso, come in tanti movimenti politici, e che il sionismo religioso le porti alla superficie. Come rispondere a questi dilemmi teologico-politici è una scelta morale che tutti noi dobbiamo fare. E ci sono tutti i tipi di risposte possibili.
Kook era molto severo sul fatto che gli ebrei non dovessero andare al Monte del Tempio. Era molto categorico su questo, specialmente dopo i disordini del 1929. Come molti sionisti era scioccato dalla violenza araba. Il sogno della coesistenza stava crollando. Ma sì, certo, le idee di Kook potrebbero essere pericolose. È qualcosa con cui ho lottato nei decenni in cui l’ho letto. Le sue idee sono così convincenti e sono espresse in modo così bello, e non si vede mai una celebrazione della violenza fine a se stessa. Questa è la domanda fondamentale: cosa facciamo quando le nostre strutture profonde di legittimazione e le nostre profonde rivendicazioni morali hanno una struttura trascendente che è molto pericolosa per il mantenimento di un sistema politico liberale? A volte penso che ci sia un’analogia tra le idee di rav Kook e quelle di Dietrich Bonhoeffer[25]. Bonhoeffer, trovandosi a lavorare fianco a fianco con attivisti non religiosi nella resistenza anti-hitleriana, sviluppò l’idea dei “cristiani inconsci”, che Rahner elaborò più ampiamente come “cristianesimo anonimo”. Il loro concetto non è che gli anti-hitleriani non religiosi avessero in qualche modo accettato Gesù nei loro cuori, ma che il lavoro della loro vita è una manifestazione di Cristo nella storia, e che la struttura delle loro azioni, la loro posizione morale, è comprensibile solo, in un certo senso, sulla base di una critica profetica del potere.
Questa è la domanda fondamentale: cosa facciamo quando le nostre strutture profonde di legittimazione e le nostre profonde rivendicazioni morali hanno una struttura trascendente che è molto pericolosa per il mantenimento di un sistema politico liberale?
DT: Tuttavia, la motivazione inconscia alla resistenza al male non è la stessa cosa che promuovere un progetto con motivazioni presumibilmente inconsce nel contesto di uno Stato democratico e della possibilità di conquistare quel territorio con la forza.
YM: Sì. Allo stesso tempo le idee religiose possono avere un enorme potenziale emancipatorio nelle società democratiche, come è stato nel caso di Martin Luther King. Le società liberali, anche la politica liberale, hanno bisogno per il loro fondamento morale di un qualche legame con la trascendenza. L’epistemologia scettica della scienza moderna è guidata dal desiderio morale di cercare di ridurre il volume dei disaccordi umani in modo che le persone almeno non si uccidano a vicenda. Tuttavia, il bisogno umano di un orizzonte ultimo e moralmente imperativo non scompare.
Queste questioni politico-teologiche sono particolarmente intense, acute e tormentate nell’Israele di oggi. Esse risuonano con le questioni di teologia politica di altri luoghi.
Le persone etichettano regolarmente i sionisti religiosi come fondamentalisti, ma è un paradigma che non funziona davvero in questo caso. I sionisti religiosi sono molto modernisti. Hanno una teoria della storia e della rivoluzione, del progresso e del cambiamento. E idee sull’espressività dell’arte e della cultura come parte del risveglio nazionale ed espressione della spiritualità. E naturalmente questo è collegato alla questione più ampia della religione pubblica che sta assillando il mondo. C’è stata la teoria della modernizzazione e poi la rivoluzione islamica del 1979. C’è questa cosa chiamata fondamentalismo. Sono solo persone che cercano di riportare indietro le cose. Ma è più complicato: grazie a Isaiah Berlin, sappiamo che le figure del contro-illuminismo del XVIII secolo non erano solo dei semplici reazionari, avevano le loro concezioni affermative. E lo stesso è vero oggi.
Sono pienamente d’accordo sulla necessità di mantenere un senso politico della Diaspora. Ma con la radicalizzazione della politica religioso-scientifica nel corso dei decenni è cosa che non avviene nel vuoto ed è legata alle crisi più ampie di legittimità, solidarietà, impegno morale e ai valori che ne sono alla base.
DT: La storia ebraica è ricca di fasi messianiche. E a queste “esplosioni” seguono crisi profonde. È stato così nel Medioevo, è stato così con Shabbatai Zevi e con Yacob Frank. Potrebbe essere così anche con rav Kook, intorno alla prima guerra mondiale, con i pogrom contro gli ebrei nell’Europa orientale?
YM: Sì. E soprattutto il crollo della vita ebraica tradizionale nella modernità.
DT: E sembra essere il caso anche del figlio di Kook, Zvi Yehuda, con la Shoah. Il messianismo è nato dalla profonda lotta con la comprensione della storia ebraica, che è arrivata con la Shoah in un periodo di enorme crisi. Se si legge ciò che gli haredim scrivono o pensano della Shoah, si vede che hanno un enorme problema ad affrontarla. Le loro categorie non sono sufficienti. Non crede che il messianismo sionista religioso sia una reazione alla Shoah?
YM: Per Zvi Yehuda Kook la Shoah era il modo in cui Dio poneva fine all’esilio e riportava il popolo ebraico in Eretz Israel. È molto chiaro al riguardo: la terra è di importanza fondamentale e lo Stato di Israele che fonda la sovranità ebraica in quel luogo è davvero, soprattutto dopo la Shoah, l’istituzione redentrice di Dio sulla Terra. Il mio maestro, rav Amital, iniziò a studiare rav Kook quando era in Ungheria, prima di essere travolto dalla Shoah nei campi di lavoro nazisti. Per tutta la vita è stato un interprete impegnato e profondo di rav Kook. Eppure al centro del suo pensiero poneva un’umiltà epistemica guidata dalla morale. Sì, gli ebrei credono nella redenzione, ma la domanda è: come possiamo saperlo?
Rav Amital direbbe che siamo nelle mani di un processo di redenzione più grande e che cercare di discernere il significato degli eventi attuali è la cosa giusta e buona da fare. Non posso fingere di conoscere i dettagli dei piani di Dio per la storia. E nel frattempo devo essere pragmatico e prendere decisioni morali. Sono d’accordo con questo. Non dico di capire rav Kook meglio di suo figlio Zvi Yehudah, ma so che sto facendo delle scelte qui e ora, e devo assumermi la responsabilità delle mie scelte, compreso il modo in cui scelgo di interpretare questo grand’uomo. Soprattutto dopo l’Intifada del 2000. La gente pensa ancora alla redenzione, ma la redenzione viene spinta verso un orizzonte sempre più lontano. Ci aspetta una lotta molto dura. Un altro aspetto interessante che ha caratterizzato il sionismo religioso negli ultimi decenni è la riflessione di Kook sulla soggettività, l’espressione personale, la creatività, le arti, la spiritualità e l’anima.

DT: È parte dell’americanizzazione della vita israeliana?
YM: Non proprio, perché non deriva dall’individualismo liberale. Si tratta piuttosto di trovare la propria espressione individuale all’interno della collettività.
DT: Esiste un partito politico che esprime quella che secondo lei è una buona posizione sul sionismo secondo gli scritti di Rav Kook?
YM: Direi che non c’è un partito, ma ci sono delle figure. Ci sono figure nell’orbita di Beni Gantz, Hili Troper o Tehila Friedman. Si adattano molto al modo umanista di vedere le cose di Kook. E la politica deve essere pragmatica. A proposito, una delle critiche interessanti che si sentono dai sionisti religiosi più di destra è: “Pensi che io sia un messianista?”, ma cosa era Shimon Peres?
Una delle critiche al processo di Oslo è che fa parte dell’euforia post-guerra fredda della fine della storia. Ed è stato anche distruttivo. Un tempo pensavo che fosse una follia ma ora credo che ci sia del vero. Perché ora vediamo in tutto l’Occidente quanto sia durata l’euforia post-guerra fredda, alla quale ho partecipato nella mia vita professionale quando ero al Dipartimento di Stato, e quanto abbiamo frainteso tanti aspetti della politica mondiale.
Credo che ci sia da fare una distinzione tra utopismo e messianismo. L’utopismo è insito nelle tre fedi abramitiche. Perché c’è questa sensazione che la verità del messaggio religioso richiederà, ad un certo punto, che il bene si realizzi qui sulla Terra. La domanda è: questo si traduce necessariamente in messianismo, nell’idea che io sto vivendo in un momento storico e posso discernere come questo dovrebbe accadere e che io dovrei contribuire a realizzarlo?
Possiamo illustrare la differenza tra utopismo e messianismo guardando al settore haredi dell’Israele contemporaneo. La posizione haredi è che possiamo avere una società in cui tutti sono talmudisti, cosa inaudita nella storia ebraica. È assolutamente utopistico. Eppure è radicato proprio nel rifiuto della teologia messianica di gran parte del sionismo religioso.
Naturalmente nel pensiero ebraico esistono risorse per un messianismo non utopico, soprattutto la dottrina messianica naturalistica di Maimonide. Secondo lui, la grande venuta messianica è un ordine sociale e politico giusto che permette alle persone di filosofare, di avere una vita buona che combina azione e contemplazione.
DT: Un’ultima domanda. Nella visione di Kook, quale era il posto degli arabi o dei palestinesi?
YM: Come la maggior parte dei primi sionisti, Kook non prestava loro molta attenzione. La maggior parte dei primi sionisti non vedeva i palestinesi come una nazione separata, e solo poco prima della prima guerra mondiale iniziamo a vedere i primi segni di qualcosa di simile a un nazionalismo distintivo, il primo elemento di un’identità nazionale palestinese. Anche allora ciò avveniva nel contesto del crollo dell’Impero Ottomano all’indomani della giovane rivoluzione turca in cui tutti cercavano di capire chi fossero e cosa fossero. E dopo che gli inglesi ricevettero il mandato dalla Società delle Nazioni, nessuno pensava che avrebbero lasciato la Palestina in tempi brevi.
Negli scritti di Kook non si trova mai una chiara posizione politica al riguardo, anche se egli si sforza sempre di indicare che gli abitanti non ebrei e arabi della terra non sono nemici e non devono essere considerati tali. Non so se abbia mai pensato a quale potesse essere il loro status di cittadini in uno Stato ebraico, perché non pensava a come sarebbe stato uno Stato ebraico. Penso che nella sua mente, presumibilmente, sarebbe stata una delle forme di espressione nazionale nella terra di Israele, che sarebbe stata prevalentemente ebraica.
Per lui la popolazione palestinese non era un’entità unica. Ci sono i cristiani, i musulmani, i drusi. Essendo anche un religioso, ha a che fare con diversi gruppi, diversi tipi di persone. Non pensa a loro in termini ostili. Il Mufti pubblica periodicamente queste lettere aperte, cercando di coinvolgerlo in una sorta di scontro retorico, ma Kook ha sempre rifiutato di farsi coinvolgere.
Ancora una volta per me Kook è una figura travolgente. È uno dei pensatori ebrei più notevoli. Cosa si può fare di lui, come guida politica per il presente? Faccio riferimento ancora una volta al mio maestro, rav Amital, che diceva: “Rabbi Akivah si sbagliava su Bar Kochba[26], ma questo non sminuisce la grandezza di Rabbi Akivah e ciò che abbiamo da imparare da lui ancora oggi. Significa solo che bisogna ricordare che nemmeno Rabbi Akiva aveva ragione su tutto e che a volte sbagliava”.
Intervistato da Danny Trom
Yehudah Mirsky è professore di Studi sul Vicino Oriente ed Ebraismo alla Brandeis University e membro dello Schusterman Center for Israel Studies. Tiene corsi di pensiero politico ebraico, teologia e misticismo, storia del sionismo e dello Stato di Israele, etica ambientale e diritti umani. Attualmente è Fellow presso l’Istituto di Studi Avanzati dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Ha lavorato per diversi anni presso l’Ufficio per i diritti umani del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, è rabbino ed è stato cappellano della Croce Rossa dopo l’11 settembre. Ha scritto per diverse testate giornalistiche, tra cui il New York Times, il Washington Post e Haaretz. Il suo libro intitolato Rav Kook: Mystic in a Time of Revolution ha vinto il Jewish Book Council’s Choice Prize.
Notes
1 | Martin Buber (1878–1965): filosofo, teologo e pensatore ebreo nato a Vienna, sostenitore di uno Stato binazionale ebraico-arabo in Palestina, in opposizione al sionismo politico maggioritario. |
2 | Meir Kahana (1932–1990): rabbino e politico israelo-americano, fondatore della Lega di Difesa Ebraica (JDL) negli Stati Uniti e del partito israeliano di estrema destra Kach. Promotore di un nazionalismo ebraico radicale, sosteneva l’espulsione degli arabi da Israele e dai territori occupati, nonché uno Stato ebraico fondato sulla legge religiosa. Il suo partito fu vietato in Israele per razzismo, ma le sue idee continuano a influenzare alcune correnti estremiste. |
3 | Asher Hirsch Ginsberg (1856-1927), noto con lo pseudonimo di Ahad Ha’am, è stato un pensatore sionista e leader degli Amanti di Sion. Portavoce di un sionismo culturale, è anche uno dei padri della letteratura ebraica moderna. |
4 | Corrente socialista ebraica laica nata nel 1897 con la fondazione del Bund (Unione generale dei lavoratori ebrei di Lituania, Polonia e Russia). Promuoveva l’autonomia culturale ebraica nella diaspora, la difesa dello yiddish e l’organizzazione delle masse operaie ebree all’interno delle società in cui vivevano. |
5 | Si tratta di allievi del grande talmudista lituano chiamato il Gaon di Vilna (1720-1797), figura dei mitnagdim (corrente opposta al chassidismo), che nel 1808 partirono per stabilirsi in Terra d’Israele e fondare una comunità ortodossa ashkenazita a Safed. |
6 | Mizrachi (o Mizrahi): acronimo ebraico di Merkaz Ruhani (“centro spirituale”), indica un movimento sionista religioso fondato nel 1902 dal rabbino Isaac Jacob Reines. Reines (1839-1915): rabbino ortodosso lituano, fondatore del movimento Mizrachi, che sosteneva un sionismo religioso moderato. Considerava il ritorno degli ebrei in Terra d’Israele compatibile con la tradizione religiosa, ma rifiutava il messianismo attivo. Opposto alle posizioni antisioniste del rabbinato ultraortodosso, cercò di conciliare fede e impegno nazionale. Il suo obiettivo è conciliare l’ebraismo ortodosso e il progetto sionista. |
7 | Hibat Zion (ebraico: חיבת ציון, chiamato anche Hovevei Tsion o “Amanti di Sion”) è un movimento ebraico fondato nel 1881 in Russia da Léon Pinsker, in seguito ai pogrom, che promuove il rinnovamento del popolo ebraico attraverso il ritorno in Terra d’Israele e la ricostruzione della sua patria. |
8 | La halakha indica l’insieme delle leggi religiose dell’ebraismo, derivanti dalla Torah, dal Talmud e dalla tradizione rabbinica. |
9 | Nato nell’Impero russo e naturalizzato britannico, Chailm Weizmann (1874-1952) fu uno dei principali diplomatici del movimento sionista. Primo presidente dello Stato di Israele dal 1949 fino alla sua morte. |
10 | Il nome del partito politico “Mizrahi” non deve essere confuso con lo stesso termine che in Israele contemporaneo significa “orientale” e designa l’insieme degli ebrei originari del Nord Africa, del Medio Oriente o della regione turco-balcanica. |
11 | Isaac Breuer (1883-1946) era un rabbino del movimento neo-ortodosso tedesco. Egli concepiva l’avvento di uno Stato messianico fondato sulla Torah in terra d’Israele e rifiutava l’idea di una «riunificazione della terra e della nazione» realizzata dalle forze sioniste laiche sotto forma di uno Stato laico. |
12 | Samson Raphael Hirsch, rabbino tedesco che si oppose alla riforma liberale del giudaismo e fondò la comunità ortodossa di Francoforte sul Meno, gettò le basi intellettuali del giudaismo ortodosso moderno, noto anche come “neo-ortodossia”. |
13 | Il Rav Avraham Yitzhak Hacohern Kook (1865-1935) fu il primo grande rabbino ashkenazita della Palestina mandatoria, un importante pensatore e mistico ebraico e figura emblematica del sionismo religioso fino ai giorni nostri. |
14 | La yeshiva lituana di Volozine (oggi in Bielorussia), il cui insegnamento era ispirato al Gaon di Vilna, era un centro della vita intellettuale sotto l’Impero russo. La sua influenza perdura ancora oggi. Tra i suoi studenti figurano Samuel Mohilever, Micha Berdyczewski, Haim Nahman Bialik, Yitzhak Yaacov Reines e Haim Soloveitchik. |
15 | Haim Soloveitchik (1853-1918), rabbino di Brest-Litovsk (Brisk), fu il pioniere di un metodo concettuale innovativo e significativo nello studio del Talmud. Suo nipote, Joseph B. Soloveitchik (1903-1993), talmudista e filosofo, si affermò come figura di spicco del giudaismo ortodosso americano e uno dei suoi pensatori più influenti del XX secolo. Haïm Nahman Bialik (1873-1934) era un poeta ebreo che scriveva principalmente in ebraico e yiddish. Bialik è considerato un pioniere della poesia ebraica moderna e oggi è riconosciuto come il poeta nazionale di Israele. Micha Josef Berdyczewski (1865-1921) era uno scrittore ebreo podoliano di lingua ebraica, giornalista e studioso. Ha esortato gli ebrei a cambiare il loro modo di pensare, liberandosi dai dogmi che regolano la religione, la tradizione e la storia ebraica, ma è anche noto per il suo lavoro sui miti e le leggende ebraiche premoderne. Era letteralmente il compagno di studi di Kook e, negli anni successivi alla loro partenza dalla yeshiva, i due si leggevano e si rispondevano a vicenda, a volte in modo esplicito |
16 | Moshe Haïm Luzzatto (1707-1746), cabalista e filosofo molto influente, educato sia nella tradizione rabbinica che nell’umanesimo italiano. |
17 | Leszek Kołakowski (1927-2009), filosofo, storico delle idee e saggista polacco emigrato. |
18 | Gog e Magog sono personaggi biblici tratti da Ezechiele 38, il cui scontro è percepito nei testi ebraici, cristiani e musulmani come il penultimo dramma della redenzione. |
19 | Charles Taylor, Sources of the Self. The Making of the Modern Identity (Harvard University Press,1989). Un’opera recente che sfrutta brillantemente l’idea di Taylor per illuminare il sionismo religioso, dalle sue origini ai giorni nostri, è quella di Shlomo Fische, Expressivist Religious Zionism: Modernity and the Sacred in a Nationalist Movement(Routledge, 2025). |
20 | Shekhina: termine della tradizione ebraica che designa la presenza immanente di Dio nel mondo. |
21 | Consultabile all’indirizzo: https://www.persee.fr/doc/assr_0335-5985_1985_num_60_1_2366 |
22 | Zvi Yehuda Kook (1891-1982), figlio del defunto Rav Kook, direttore della yeshiva di Gerusalemme fondata dal padre e principale editore delle numerose opere postume di quest’ultimo, è stato il leader spirituale fondatore del movimento moderno di colonizzazione religiosa in Cisgiordania e a Gaza. |
23 | Nato nel 1924 in Transilvania (oggi Romania), Yehouda Amital (1924-2010), dopo essere sopravvissuto alla Shoah, si è affermato come uno dei grandi educatori e pensatori del sionismo religioso. Nel 1968 fondò e diresse per molti anni la Yeshivat Har Etzion a Gush Etzion, istituzione di punta del movimento sionista religioso. Dalla fine degli anni ’70 divenne la figura spirituale di riferimento per i sionisti religiosi di sinistra. |
24 | A questo proposito, si veda Jonathan Garb, A History of Kabbalah from the Early Modern Period to the Present Day (Cambridge University Press, 2020) e, più recentemente, il nuovo libro di Eli Rubin, Kabbalah the Rupture of Modernity(Stanford University Press, 2025). |
25 | Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), pastore e teologo luterano tedesco, attivo nella resistenza contro Hitler e giustiziato negli ultimi giorni del regime nazista. Karl Rahner (1904-1984), sacerdote gesuita tedesco e importante teologo cattolico. |
26 | Rabbi Akiva era il principale saggio rabbinico della metà del II secolo. Simon bar Kokhba era un capo militare ebreo in Giudea e leader di una rivolta contro l’Impero Romano nel 132 d.C. Secondo i racconti rabbinici, quando Bar Kokhba riuscì a sconfiggere le truppe romane, Rabbi Akiva pensò che fosse il Messia (il salvatore), ma dopo la sua sconfitta e il suo assassinio, si rese conto del suo errore. |