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“Intervista con un militante nel nord della Cisgiordania./footnote> Questo tipo di messianismo è in qualche modo uno spazio tra l’immaginario e il reale, tra l’emancipazione e la contingenza, che permette di sperimentare un aldilà. Ricorda altre forme di vita contemporanee, in Europ…”
Realismo e purismo nelle correnti messianiche in Israele nel 2025.
Se il messianismo rappresenta senza dubbio la più grave minaccia interna per il futuro di Israele, esso si declina tuttavia al plurale. Perle Nicolle-Hasid e Sylvaine Bulle l’affrontano qui nella diversità delle sue correnti partendo da una questione fondamentale: il rapporto con il sionismo realizzato, cioè con lo Stato. Ma che si tratti dei realisti che cercano di fare dello Stato uno strumento del messianismo, o che si tratti dei puristi che se ne distaccano per vivere secondo l’Israele ancestrale, il presente della redenzione schiaccia l’orizzonte del sionismo.

«Puoi prendere dei popcorn, sederti sulla panchina alla fine della colonia e guardare la redenzione [che si compie]».<footnote>Intervista con una donna che vive con la sua famiglia in un insediamento in Cisgiordania. Gli estratti delle interviste citati qui sono stati realizzati da Perle Nicolle-Hasid.</footnote>
La «marcia delle bandiere» del 26 maggio 2025, durante la quale giovani sionisti religiosi hanno saccheggiato negozi e aggredito i proprietari palestinesi nella città vecchia di Gerusalemme, così come le pressioni esercitate da alcuni gruppi ultranazionalisti sulla coalizione di governo per rioccupare Gaza, pongono il legame tra nazionalismo religioso e violenza al centro dell’attualità israeliana. Sui media i sionisti religiosi sono ormai classificati come “estrema destra”, “suprematisti” o “coloni violenti” . Tuttavia, questa sorta di catalogazione non copre l’eterogeneità di questi attori, collettivi o individuali. La denominazione “sionisti religiosi” o ”messianici” non permette di cogliere la totalità delle pratiche, nella misura in cui alcuni strumentalizzano il sionismo statale e il sistema religioso israeliano mentre altri se ne distaccano rendendosene autonomi. Qui ragioniamo di queste nuove configurazioni religiose e politiche, fonti di tensione inerenti al modello israeliano, poiché i messianismi hanno un peso sul futuro di Israele e della Palestina, compresa Gaza. Ci concentriamo su due forze complementari e talvolta contraddittorie che rappresentano una parte non trascurabile e crescente del sionismo religioso, il cui orizzonte è la concretizzazione delle profezie bibliche sul ritorno degli ebrei, in una terra di Israele dalle dimensioni mitologiche. Parleremo dei sionisti religiosi “integrazionisti” e realisti – i più numerosi tra le centinaia di migliaia di coloni attuali<footnote>Va ricordato che esistono diversi tipi e diversi gradi di impegno politico e religioso all’interno della popolazione delle colonie, che conta circa 450 mila abitanti in Cisgiordania (secondo il censimento della popolazione del 2019). La maggior parte dei coloni si stabilisce in Cisgiordania soprattutto per motivi individuali, familiari o economici, nell’ambito dell’alyah o della mobilità residenziale. A differenza di quelli che analizziamo, questi possono essere definiti coloni residenziali e possono essere osservanti o meno, più o meno in sintonia con il sionismo religioso. Tra i circa cinquecentomila coloni, una parte di essi è ultraortodossa (circa il 30 per cento).</footnote> – per poi esaminare una frangia particolare, opposta alla prima: i Giovani delle colline, in rottura con il sionismo religioso e politico che rivendicano un’identità ebraica autentica, libera da ogni influenza diasporica.
Sionismo religioso o messianismo?
Il sionismo religioso rimane una versione minoritaria all’interno del sionismo. Per coloro che vi si identificano l’avvento dello Stato di Israele è considerato l’inizio di una nuova era, umana o divina, che si baserebbe sull’annullamento ontologico dell’esilio ebraico e sulla promessa della comparsa di un’identità ebraica «antica e nuova». Il sionismo religioso dei rabbini Kook, padre e figlio, è rimasto dominante nel panorama israeliano fino al 2005, anno cruciale del “disimpegno”, ovvero l’evacuazione forzata dei coloni da Gaza, da parte dell’esercito israeliano. L’approccio dei rabbini Kook<footnote>La diade formata da rav Kook padre e figlio è un punto di riferimento per il sionismo religioso, anche se esistono differenze di pensiero tra i due. Il rabbino Avraham Yitzchak haCohen Kook ha infatti introdotto l’idea che il movimento sionista portasse la speranza di un rinnovamento del legame tra il popolo di Israele, la terra di Israele e la Torah. Pensatore mistico e filosofo, riteneva che la redenzione ebraica si sarebbe realizzata nell’ambito del progetto sionista. Il rabbino Zvi Yehuda Kook ha reso possibile, sulla base degli scritti di suo padre, un progetto politico concreto e ha ispirato la fondazione di Gush Emunim (il “Blocco dei Credenti”), precursore del movimento di colonizzazione israeliano in Cisgiordania e a Gaza.</footnote> ha permesso al sionismo religioso di teorizzare il rapporto tra religione e Stato, nella misura in cui quest’ultimo appare sia come costruzione politica sia come vettore e incarnazione della redenzione ebraica. Questo fervore spirituale unito all’impegno politico si ritrova oggi in alcune concezioni del sacrificio militare, dell’insediamento nella terra di Israele e in altre pratiche di devozione.
Questa visione sincretica ha caratterizzato diverse generazioni di sionisti religiosi israeliani, che si sono arruolati nelle unità militari più pericolose, si sono impegnati nelle istituzioni sociali e hanno partecipato alla maggior parte delle coalizioni di governo, comprese quelle con i partiti di sinistra, fino agli anni Novanta. A partire dagli anni Settanta, il fervore sionista-religioso si è incarnato nel progetto di colonizzazione della Cisgiordania (e di Gaza fino al 2005) – progetto che il partito laburista aveva sostenuto per ragioni di sicurezza –, attraverso il quale si realizza il “ritorno” alle terre ancestrali della Cisgiordania (in particolare nelle città di Hebron, Nablus e Gerico) e a Gerusalemme Est. Questo “ritorno” è concepito come prerequisito indispensabile per quella salvezza ebraica che il movimento dei “coloni ideologici”<footnote>Chiamiamo “coloni ideologici” coloro che si sentono rappresentati dal movimento dei coloni, un insieme eterogeneo di attori che hanno come obiettivo la colonizzazione di Gerusalemme, della Cisgiordania (e di Gaza), alcuni dei quali sono rappresentati in parlamento. Le scelte di vita e l’impegno militante di questi coloni ideologici contribuiscono al progetto della Grande Israele e/o alla trasformazione del sistema statale sionista, a differenza di coloro che si insediano nelle colonie israeliane per motivi economici, in particolare per le opportunità in materia di alloggio.</footnote> intende prendere in mano. Per questi ultimi, infatti, il movimento di colonizzazione israeliano è una “messa in pratica” del messianismo sionista-religioso, realizzata sempre più in connivenza con le autorità israeliane che accettano di vedere accaparrate le terre della Cisgiordania.
L’obiettivo di una parte dei coloni ideologici è quello di prendere il controllo del sistema statale israeliano per consolidare la loro influenza territoriale in Cisgiordania e imporre l’irreversibilità del loro messianismo “sul campo”.
Tuttavia, il disimpegno di Israele da Gaza nel 2005 e lo smantellamento delle colonie che vi si trovavano hanno costituito una rottura importante in questa esaltazione messianica e sono stati percepiti dai sionisti religiosi come tradimento politico e crisi spirituale. Qui si vede l’ambivalenza che caratterizza il loro rapporto con lo Stato di Israele: da un lato, il sionismo religioso lo sacralizza come «piedistallo del trono divino in questo mondo», ma dall’altro protesta contro i limiti della sua forma statale moderna, nella misura in cui ostacola la possibilità di espandersi su tutta la terra biblica. Questa protesta può arrivare fino al desiderio di staccarsi dalle istituzioni statali, come vedremo nel caso dei Giovani delle colline. Ma, per la maggior parte dei coloni ideologici, l’ambivalenza si risolve in una rivendicazione sempre più forte: si tratta di ottenere il controllo del sistema statale israeliano al fine di consolidare la loro presa territoriale in Cisgiordania e imporre il carattere irreversibile del loro messianismo «sul campo». Nel periodo attuale, questi coloni ideologici si sono alleati con la coalizione di governo, in particolare con le fazioni di estrema destra e di destra religiosa che la compongono. Dopo i massacri del 7 ottobre seguiti dalla guerra a Gaza, alcuni di questi coloni disinibiti non nascondono più la loro intenzione di istituzionalizzare l’occupazione della Palestina, dal Giordano a Gaza, svuotata dei suoi occupanti. Molti di loro militano anche per la sovranità israeliana sull’attuale sito della Spianata delle Moschee di Gerusalemme, sede del Tempio<footnote>Il Monte del Tempio ebraico di Gerusalemme, primo luogo santo dell’ebraismo, è anche il terzo luogo santo dell’Islam. Il Muro del Pianto è formato dai resti di una delle mura esterne del Tempio ebraico. Sul Monte stesso, solo i musulmani sono autorizzati a pregare. Gli ebrei possono visitarlo in determinati orari. Oggi, la salita sempre più frequente sul Monte esprime dal 2005 una vivace protesta politica nei confronti dello Stato israeliano affinché ne autorizzi l’apertura agli ebrei.</footnote>. Infine, rendono conflittuale il loro rapporto con le istituzioni democratiche israeliane sostenendo i progetti di riforma dei poteri della Corte Suprema.

I messianici realisti offensivi
È in questo contesto che collochiamo la maggior parte dei sionisti religiosi. Si possono definire “messianici realisti”. Spesso provenienti dalle élite urbane sioniste-religiose e istruiti dalle istituzioni del movimento dei kibbutz religiosi, hanno preso il controllo dei partiti sionisti-religiosi tradizionali (Katzman, 2020). Critici dei media, della sinistra liberale e del sistema giudiziario, e contrari alle istituzioni secolarizzate nelle loro forme attuali, desiderano portare avanti il progetto di annessione e occupazione della Cisgiordania. Ciò passa attraverso la loro crescente influenza e la loro integrazione politico-religiosa all’interno dello Stato, della coalizione di governo e del Parlamento israeliano. Una sorta di messianismo “dello Stato”, che cerca di renderlo più docile, come dimostra l’annullamento della legge sul disimpegno che hanno ottenuto nel 2023<footnote>Questa legge del 2005 vietava di abitare in un certo numero di avamposti (insediamenti illegali).</footnote>. A tal fine, hanno saputo trarre vantaggio dall’onnipresenza in Parlamento di un nazionalismo esclusivo sostenuto dalla formazione sionista-religiosa di Bezalel Smotrich alleata a quella di Itamar Ben Gvir (Otzama Yehudit) e al partito di estrema destra Noam. Approfittano anche dell’influenza della destra “bibista” (Likud e affiliati) e dello spostamento della società israeliana verso un rifiuto sempre più marcato della sinistra liberale.
«Lo Stato non è sacro, è uno strumento laico che noi possiamo utilizzare, non è un oggetto religioso »<footnote>Un giovane colono incontrato in una roulotte a sud di Hebron.</footnote>.
Questi coloni, forti della loro strategia di integrazione nella vita politica e parlamentare, progettano, pianificano e investono nella speranza di rendere lo Stato compatibile con la loro visione. Hanno acquisito una legittimità quasi irreversibile, tanto più che creano società immobiliari e organizzazioni militanti<footnote>Una delle aziende attive nella costruzione degli avamposti è l’organizzazione Regavim, il cui direttore è un membro della famiglia Smotrich. Questa società senza scopo di lucro offre compensi illegali ai palestinesi che abbandonano le loro terre, al fine di poter costruire insediamenti senza autorizzazione.</footnote> che alimentano la conquista della Cisgiordania. A poco a poco si appropriano delle terre palestinesi, in particolare nella regione di Hebron, a sud della Cisgiordania. La loro velleità di espansione si allea all’aggressività di altri giovani coloni che moltiplicano gli attacchi ai villaggi e alle terre palestinesi, così come la distruzione del bestiame e dei raccolti. Queste offensive, sempre più numerose e violente<footnote>Sono responsabili della morte, avvenuta nell’agosto 2025, di Adwah Hathaleen, attivista palestinese coinvolto nella realizzazione del film premio Oscar No Other Land e in varie iniziative comuni con attivisti israeliani.</footnote>, raramente danno luogo a un intervento dell’esercito.
Forti della loro strategia di integrazione nella vita politica e parlamentare, progettano, pianificano e investono nella speranza di rendere lo Stato compatibile con la loro visione: una sorta di messianismo «dello Stato», che cerca di renderlo più docile.
Ma sarebbe riduttivo assimilare i coloni ideologici alla violenza di alcuni dei loro membri e alle dichiarazioni provocatorie di rabbini senza autorità. Infatti, le trasformazioni del messianismo hanno anche portato a una diversificazione più discreta delle spiritualità e delle pratiche politiche religiose-sioniste, che si allontanano dai precetti dei rabbini Kook e dal loro messianismo «statale». Se una parte importante dei coloni “integrazionisti” o realisti continua infatti a fare affidamento sullo Stato israeliano per realizzare la promessa del ritorno del popolo ebraico su tutta la Terra d’Israele biblica, altri sostengono una separazione dallo Stato nazionale, nella misura in cui questo non incarna abbastanza – simbolicamente e religiosamente – il ripristino della sovranità ebraica sulla Terra di Israele. I coloni più puristi e revivalisti rifiutano le alleanze con gli attori statali o parlamentari, anche se questi potrebbero fornire loro le risorse necessarie per colonizzare la Terra di Israele. Questa seconda categoria è esaminata di seguito a partire dal caso empirico dei Giovani delle colline, un gruppo dal carattere innovativo.
Per davvero. Nuove controculture messianiche
I Giovani delle colline, il cui numero è aumentato senza sosta negli ultimi vent’anni, sono attori sparsi e più o meno organizzati, che preferiscono la purezza al compromesso. Oggi si contano alcune centinaia di questi militanti più o meno clandestini sulle colline dette “di frontiera”, che sfidano il movimento autoproclamato “dei coloni” . I Giovani delle colline beneficiano del sostegno di circa un migliaio di persone, insediate intorno a loro in avamposti più o meno permanenti<footnote>Sebbene tutti gli insediamenti israeliani siano illegali secondo il diritto internazionale, Israele fa una distinzione tra le comunità “legali” insediate su terreni pubblici, costruite in coordinamento con il Ministero della Difesa, e gli avamposti illegali costruiti senza permesso dello Stato, spesso su terreni palestinesi privati. Gli avamposti sono rappresentati nei consigli locali dei coloni e la loro legalizzazione è difesa da Yesh’a. Si contano 200 avamposti costruiti di recente al di fuori delle colonie regolari (che sono 120 in tutta la Cisgiordania).</footnote>.
Ciò che li caratterizza è la loro ricerca radicale di liberazione, non solo dall’esilio, ma anche dal sionismo. Da un lato, rifiutano i coloni insediati e aiutati dai bilanci statali, che preferiscono il comfort borghese alla militanza e scelgono per pura strategia di colonizzare le colline della Cisgiordania. Dall’altro lato, piuttosto che aspirare a raggiungere una Grande Israele astratto, molti preferiscono un rapporto carnale con il loro pezzo di collina, spesso intrecciato con le terre palestinesi. Arroccati sulle colline più selvagge della Cisgiordania, questi collettivi desiderano «portare la redenzione con le proprie mani». In attesa del ritorno del Tempio, gli occupanti si sono insediati in rifugi di lamiera e legno, tende di plastica, container, vecchi autobus, su colline isolate dal resto degli insediamenti e degli avamposti. Rifiutano la maggior parte dei legami, compresi quelli con i rappresentanti del sionismo religioso, al fine di realizzare un «nuovo giudaismo», radicato nella speranza messianica di un legame rinnovato con la terra promessa e di un dialogo diretto con il divino. Il messianismo è qui una forma di vita che si realizza attraverso pratiche e stili che “rivivono” il tempo ancestrale – quello prima dell’esilio – nello spazio ancestrale ebraico – la Terra d’Israele biblica – al fine di ritrovare un’intimità perduta con la terra e il divino. Questa spiritualità si realizza attraverso un rapporto materiale con la terra: arrampicandosi, costruendo, arando, spianando, camminando nell’argilla e infine raccogliendo con varie tecniche bibliche e antiche (tramite l’uso di mulini e torchi) . Questa rinuncia alla tecnologia mira a toccare da vicino una “natura ancestrale”, inalterata da due millenni di influenze diasporiche.
Piuttosto che aspirare a raggiungere una Grande Israele astratto, molti preferiscono un rapporto carnale con il loro pezzo di collina. Arroccati sulle colline più selvagge della Cisgiordania, questi collettivi desiderano «portare la redenzione con le proprie mani».
Allo stesso modo, sulle colline, le scelte di abbigliamento e l’aspetto fisico evocano l’antica Israele. Gli uomini lasciano crescere i capelli, che coprono con una kippah a maglie larghe, e indossano scialli da preghiera, in riferimento agli ebrei biblici, così come li immaginano. I capelli delle donne sono raccolti in foulard colorati, a volte ornati con gioielli e perle, che si ispirano alle rappresentazioni delle antiche donne di Israele. Questa corporeità, improntata a molteplici riferimenti esoterici, new age e neo-hassidiche, è la chiave del legame di redenzione tra il popolo ebraico e la Terra di Israele, e quindi dell’accesso diretto al divino (Persico, 2014 e Nicolle-Hasid, 2019).
L’immaginario da solo non è sufficiente, perché l’emancipazione deve inserirsi in una materialità e in un mondo terreno che né lo Stato né i movimenti di coloni derivati dal sionismo possono fornire. Per molti dei Giovani delle colline, la promessa da raggiungere è quella di una teocrazia, alcuni arrivando persino a incoronare figure radicali come quella del rabbino Ginzburg<footnote>Yitzhak Ginsburg è un rabbino neo-hassidico che insegna nella “yeshiva più radicale della Cisgiordania” a Yitzhar. È fonte di ispirazione soprattutto per i Giovani delle colline a causa della sua interpretazione della violenza come pratica di liberazione spirituale. In uno dei suoi opuscoli, Ginzburg ha infatti teorizzato la violenza preventiva. Presiede inoltre una vasta rete di insediamenti, scuole, istituzioni che comprendono un movimento giovanile, un centro di psicologia ebraica e di mediazione. La sua dottrina spirituale tocca quasi tutti gli aspetti della vita moderna, a diversi livelli che vanno dall’individuo ebreo, alla società ebraica e allo Stato ebraico.</footnote>. Si tratta di un messianismo «revivalista», che promuove un’autenticità ebraica e un ideale rappresentate dall’antico Israele, come dimostrano i loro riferimenti mistici, ancestrali ed esoterici. La maggior parte dei Giovani delle colline non ha letto i testi fondamentali, e il loro fervore o la loro esaltazione traducono soprattutto una rottura e un’incredulità nei confronti del sionismo statale: il disimpegno da Gaza nel 2005 è apparso loro come la fine della profezia del messianismo “statale”.
“L’altro” e la violenza
Si pone la questione del rapporto con i palestinesi. I coloni appollaiati sulle colline a volte si trovano a poche decine di metri dai villaggi palestinesi. Vivono in abitazioni non sorvegliate, che non beneficiano di protezione militare, e la maggior parte di loro non è armata. Tuttavia, i palestinesi sembrano dissuasi dal danneggiarli, a causa di una minaccia che va oltre la semplice rappresaglia. Infatti, la presenza di questi “altri” palestinesi sulla terra di Israele è un ostacolo reale al sogno messianico, perché impedisce il legame tra la terra e il divino con il popolo ebraico. In questo senso, la violenza è sempre potenziale, perché fa parte dell’universo mentale dei Giovani delle colline. Per loro, il passaggio all’atto violento è una liberazione metafisica, una pratica salvifica e spirituale. Scelta e tradotta in atti, la violenza permette loro di sentirsi e dichiararsi “ebrei liberi”.
La maggior parte dei Giovani delle colline non ha letto i testi fondamentali, e il loro fervore o la loro esaltazione traducono soprattutto una rottura e un’incredulità nei confronti del sionismo statale.
«La caratteristica principale dell’ebraismo delle colline è che offre la possibilità di liberarsi».<footnote>Intervista con un militante nel nord della Cisgiordania./footnote>
Questo tipo di messianismo è in qualche modo uno spazio tra l’immaginario e il reale, tra l’emancipazione e la contingenza, che permette di sperimentare un aldilà. Ricorda altre forme di vita contemporanee, in Europa o altrove: si pensi ai survivalisti che temono il collasso, ai libertari che rifiutano ogni istituzione politica, o ancora ai movimenti autonomi che creano i propri regni nel presente, tempo dell’emancipazione (Bulle, 2025).
Tutte le forme di messianismo al di fuori dello “Stato” non hanno peraltro il carattere violento e retrogrado dei Giovani delle colline. Esistono altri modi per distaccarsi dal sionismo religioso dei rabbini Kook, intraprendendo un percorso più spirituale. Alcuni fanno riferimento, ad esempio, agli scritti del rabbino Fruman, soprannominato «il rabbino pacifista», noto per il suo dialogo con lo sceicco Yassin, ideologo di Hamas<footnote>Lo sceicco Yassin è stato uno dei leader del movimento islamico palestinese ed è stato assassinato nel 2004. Favorevole alla lotta armata di liberazione nazionale, si era dichiarato favorevole alla risoluzione del conflitto durante il periodo di pace.</footnote>. Proprio come quello del rabbino Kook padre, il pensiero del rabbino Fruman era profondamente radicato nell’immaginario hassidico. Egli percepiva spiritualmente il legame con la terra di Israele come il legame con il divino e pensava alla risoluzione del conflitto israelo-palestinese attraverso forme di coesistenza alternative al sionismo statale<footnote>Gli scritti del rabbino Fruman sono una delle fonti di ispirazione del movimento “A Land for All” (precedentemente “Two States One Homeland”) che difende una confederazione israelo-palestinese.</footnote>. Come definire queste tendenze se non come attivismo politico prefigurativo<footnote>Parliamo di politica prefigurativa come dell’impegno a realizzare principi ideali all’interno di forme di vita, azioni ed esperienze che possono essere radicali o alternative, ma che favoriscono la socializzazione.</footnote> volto al superamento o alla rinuncia al sionismo statale?

Un messianismo al presente
«Bisogna iniziare dall’orizzonte (…) poi riflettere in modo pratico “all’indietro”, su come tornare a ciò che abbiamo oggi, e sapere come fare le cose per andare avanti (…) ma se inizi oggi senza essere un po’ domani, allora domani non sarà mai come te lo immaginavi».<footnote>Membro dell’organizzazione Nachala che riunisce i coloni favorevoli alla colonizzazione delle colline.</footnote>
Il quadro che abbiamo presentato qui non può essere ridotto a un’opposizione tra posizioni realistiche offensive e altre puriste. Se alcuni coloni ideologici considerano i partiti sionisti come un disastro, un tradimento e un’usurpazione, altri possono trovare punti di convergenza con varie organizzazioni ufficiali, come il partito sionista-religioso guidato da Betzalel Smotritch, al fine di perforare l’apparato sionista e amplificare la loro voce all’interno del mondo ebraico e israeliano, in particolare quello secolarizzato. Non sorprende che questi coloni coltivino un legame immaginario tra il loro stile di vita e i precetti che hanno ispirato la creazione dei kibbutz, immaginandosi pionieri di un nuovo mondo<footnote>«Sono i nuovi pionieri, come quelli dei kibbutz (degli anni Quaranta)», dichiara Zvi Sukkot, ex “Giovane delle colline”, diventato deputato nel partito sionista-religioso di Betzalel Smotrich. Da notare che diversi gruppi di Giovani delle colline si sono messi in scena, con immagini che riproducono i cliché iconici del movimento dei kibbutz trasportati nel loro luogo di vita, con l’obiettivo di ottenere una reazione e un dialogo con i coloni sionisti-religiosi.</footnote>.
Questo messianismo del presente, se non presentista, permette di sottolineare due cose. La prima è la molteplicità delle fonti di critica allo Stato-nazione moderno e laico, la seconda è l’ampiezza dei riferimenti al regno degli ebrei, che può realizzarsi al di fuori dello Stato o al suo interno, secondo grammatiche temporali e modi di agire che vanno dai pacifisti ecologisti agli ebrei della forza. Un messianismo “vero” permette di definire questi attori che, indipendentemente dal fatto che accettino o meno lo statalismo, condividono la volontà di realizzare il regno degli Ebrei nel tempo presente.
Terra e messianismo. Da Gerusalemme a Gaza
Da Gerusalemme alle colonie di Gaza, il passo è breve. «Siamo nel tempo dei miracoli», annunciava nel luglio 2024 la figura di spicco dei messianici israeliani, Daniella Weiss, che riunisce l’organizzazione Nachala con il sostegno dichiarato di una parte della coalizione di governo di Benjamin Netanyahu. Nell’ottobre 2024, il direttore della stessa organizzazione dichiarava: «Entro il prossimo anno (ebraico), ci sarà una [nuova] colonizzazione ebraica a Gaza“. Questa incantesimo è stato pronunciato durante una ”conferenza” organizzata per i suoi militanti in un accampamento allestito vicino al kibbutz martire di Beeri, dove più di 130 persone sono state massacrate il 7 ottobre 2023, una zona militare solitamente chiusa al pubblico. Durante questo raduno, i figli piccoli dei militanti coloni giocavano alla guerra, costruivano case di plastilina su una mappa di Gaza e partecipavano a laboratori pratici destinati ai « giovani pionieri “, a due passi dai bombardamenti su Gaza. Tra gli stand gestiti da varie organizzazioni religiose radicali, suprematiste e kahaniste, e capanne ricoperte di striscioni di partiti politici, i loro genitori ascoltavano i discorsi di ‘politici’ e rabbini sotto uno striscione che proclamava: ”Venite a vivere nella nuova Gaza City “. Secondo gli organizzatori, questa futura città sarà ”tecnologica ed ecologica“, oltre a simboleggiare ”la vittoria totale”. Perché organizzare un simile raduno a pochi chilometri dal confine con Gaza?
Per i sostenitori del messianismo sionista-religioso, l’orizzonte della redenzione si colloca in un presente che permette di immaginare la possibilità effettiva di abitare e organizzarsi in un mondo prescelto. È in qualche modo il senso della dichiarazione di Daniella Weiss, secondo cui bisogna «abituarsi » a immaginare Gaza. Affinché questi militanti si abituino all’idea di abitare Gaza, è quindi necessario « che vedano Gaza, che vedano il mare (…), che ne respirino l’aria »<footnote>https://www.maariv.co.il/news/politics/article-116292</footnote>. Esisterebbe quindi un luogo in cui questa prefigurazione acquista senso: le sabbie alle porte di Gaza, da cui parte un piano d’azione concreto, piuttosto che discorsi di estasi religiosa, incantesimi cabalistici di salvezza o promesse di redenzione futura.
È proprio una visione ormai «realistica» che permette di far vivere il messianismo qui e ora, «per davvero», in opposizione agli integrazionisti che sarebbero paralizzati dalla devozione alle istituzioni politiche israeliane obsolete. È possibile vedere, in un orizzonte prossimo, questo messianismo far rivivere il Gush Katif, dal nome dei blocchi di colonie sognati da alcuni coloni nostalgici? Per questi gruppi che manifestano la loro volontà di lasciare un segno nell’ambiente, il futuro di Gaza e della Cisgiordania si inserisce in un futuro prossimo, tanto più che la dinamica messianica tende ad affermarsi ed esercita un’influenza senza precedenti sulla politica israeliana. Parallelamente a ciò, va sottolineato il ruolo dell’evangelismo americano, sostenuto dalla coalizione israeliana al potere, nella speranza di vedere tutta la Terra di Israele biblica controllata dal popolo ebraico.
Gli attacchi perpetrati contro le terre e i villaggi palestinesi dai coloni ebrei hanno gravi conseguenze per la politica e l’immagine di Israele. Affermare che la terra di Israele non può esistere senza causare danni all’ambiente palestinese, come talvolta fanno i gruppi di coloni, è un paradosso religioso e spirituale. Questa violenza va contro la dottrina iniziale del sionismo religioso immaginata dai rabbini Kook<footnote>In particolare Kook padre, favorevole alla convivenza ebraico-araba. Vedi, in K.: Intervista con Yehudah Mirsky: Storia e attualità del sionismo religioso.</footnote>, che non consideravano i palestinesi arabi e drusi come nemici. Si può quindi parlare, a proposito di tali atteggiamenti, di una svolta all’interno del sionismo religioso o del messianismo sionista? Si può ancora sperare in un’altra rappresentazione di esso, che favorisca la coesistenza e la composizione “terrestre” (Latour 2017) piuttosto che lasciar intravedere un futuro inquietante?
Perle Nicolle-Hasid & Sylvaine Bulle
Perle Nicolle-Hasid è sociologa, Post-doctoral Fellow presso il Truman Institute for the Advancement of Peace dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Il suo campo di ricerca riguarda le strategie politiche dei gruppi radicali in Israele e delle controculture militanti.
Sylvaine Bulle è sociologa, membro del Laboratorio di antropologia politica (EHESS -CNRS) . Il suo lavoro si concentra in particolare sui movimenti contemporanei di emancipazione legati all’ecologia, in Francia e in Israele. Ha recentemente pubblicato: Sociologie du conflit (con F. Tarragoni, 2021) ; Irréductibles. Enquête sur des milieux de vie (2020) e Sociologie de Jérusalem (2020).
Riferimenti
Bulle, S. 2025. Gustav Landauer et les petits royaumes (Gustav Landauer e i piccoli regni), Cahiers philosophiques (Dossier Gustav Landauer), di prossima pubblicazione.
Katzman, H. (2020). The Hyphen Cannot Hold: Contemporary Trends in Religious-Zionism (Il trattino non regge: tendenze contemporanee nel sionismo religioso). Israel Studies Review, 35(2), 154-174.
Nicolle-Hasid, P. (2019). Beyond and Despite the State: Young Religious Settlers’ Visions of Messianic Redemption, Quest. Issues in Contemporary Jewish History, 16: 116-143.
Latour, B, 2017. Où atterrir?: Comment s’orienter en politique, La Découverte, 2017
Persico, T. (2014). Neo-Hasidic Revival. Expressivist Uses of Traditional Lore. Modern Judaism, A Journal of Jewish Ideas and Experience, 34(3): 287-308.
Notes
1 | Il manifesto associa una citazione biblica (l’arrivo di Ruth e Naomi a Betlemme, simbolo del radicamento biblico in Giudea) a una mappa moderna che colloca Betlemme in Cisgiordania, per sostenere l’argomento di una continuità storica e religiosa che giustifica la sovranità israeliana su questa regione. |