Il testo di questa settimana, firmato dal filosofo Bruno Karsenti e dal sociologo Danny Trom, tra i fondatori di K., la rivista, vuole come sempre affrontare il tema in profonditĂ , con luciditĂ e responsabilitĂ . Parlare delle guerre in corso, sia a Gaza che con l’Iran significa interrogarsi sul cuore stesso dell’esperienza ebraica contemporanea e su uno dei suoi elementi ineludibili, il sionismo. Un testo che vuole far discutere, alla ricerca di un percorso che consenta allo stesso tempo di comprendere e di pensare a una via d’uscita: e il sionismo stesso non è mai stato un’ideologia monolitica, è un progetto storico-politico vivo, e in quanto tale ricco di contraddizioni. Karsenti e Trom partono da una riflessione sul senso di minaccia vissuto da Israele, ora piĂą attuale che mai in una fase storica segnata anche dalla crescente delegittimazione, tanto sul piano militare quanto simbolico, dello Stato ebraico. Per gli ebrei della Diaspora il riaccendersi dell’antisionismo in forme radicali e spesso apertamente eliminazioniste – grazie soprattutto alla spinta iraniana – riporta al centro una domanda antica: cosa significa oggi difendere l’esistenza ebraica? Il massacro del 7 ottobre ha risvegliato un senso di vulnerabilitĂ profonda e in parte ridefinito i termini del dibattito. L’idea originaria del sionismo come rifugio per un popolo minacciato è un principio oggi allo stesso tempo rivendicato e messo in discussione. I bombardamenti sull’Iran sono un possibile punto di svolta non tanto sul piano strategico quanto simbolico che potrebbe restituire coerenza e chiarezza a una traiettoria storica che da un lato vede la necessitĂ di garantire la sicurezza e la sopravvivenza e dall’altro ha l’urgenza di non tradire l’orizzonte etico e politico che ha fondato Israele come Stato democratico di diritto.
E inoltre, nelle edizioni internazionali:
Il reportage di Liam Hoare documenta il primo congresso ebraico antisionista, tenutosi a Vienne dal 13 al 15 giugno: centinaia di partecipanti per un evento che ambisce a reclamare lo spazio della memoria ebraica anche con slogan polemici. Sul palco e tra il pubblico voci pesanti: da Roger Waters a Francesca Albanese, fino alla deputata Rima Hassan, in un crocevia tra istanze ebraiche critiche e alleanze della sinistra internazionale. L’idea di una “chiarezza morale” netta che vuole equiparare il sionismo a un colonialismo razzista si scontra con la pluralitĂ interna al movimento: non mancano le divisioni ideologiche, malgrado la posta in gioco evocata dai relatori. Mentre Israele lancia l’operazione contro le infrastrutture iraniane, il reportage mostra la tensione tra il pericoloso estremismo del congresso e la complessitĂ politico-strategica del conflitto in corso.
Due lettere tratte da Parler sans dĂ©tours. Lettres sur IsraĂ«l et la Palestine (Cerf, 2025), presentano gli scambi epistolari fra Anoush Ganjipour e Jean-Claude Milner, iniziati all’indomani del 7 ottobre sullo sfondo della guerra a Gaza. Un confronto tra due interpretazioni della natura e della storia dell’odio antiebraico in Oriente: da una parte la passione occidentale importata dalla modernitĂ conquistatrice, dall’altra la giudeofobia inscritta nei sentimenti collettivi e rivitalizzata oggi dall’antisionismo. Al centro del disaccordo una divergenza fondamentale che si esprime attraverso due prospettive sullo stesso fenomeno, ancorate a due distinte esperienze politiche. Tra profonditĂ e testimonianza, emergono ricordi, riflessioni sulle identitĂ e contraddizioni che non impongono una interpretazione. Sullo sfondo, il tema della scrittura come gesto di resistenza e memoria: scrivere al presente, testimoniare, restare connessi al tessuto umano del conflitto, senza rinunciare alla speranza. Un invito alla riflessione affinchĂ© le parole possano ancora aprire spazi di comprensione.