Esiste un altro tipo di antisemitismo che, pur essendo meno visibile in Europa, non cerca comunque di nascondersi. Sui social network e sui media americani un battaglione di influencer, sempre più popolari e vicini al movimento MAGA (Make America Great Again) sta riportando in auge il revisionismo della Shoah. Che si chiamino Candace Owens, Tucker Carlson o Nick Fuentes ciò che fanno non cambia. Amano spingere il loro pubblico a interrogarsi: «Hitler era davvero così cattivo come si dice?», «I pornografi ebrei non meritavano questo genocidio (che tra l’altro non ha avuto luogo)?». Il testo di Yair Rosenberg, originariamente pubblicato su The Atlantic, esplora questa galassia di influencer con legami neonazisti e si interroga sulla caduta delle barriere politico-morali che hanno permesso la diffusione di questi discorsi nella destra americana, che ha appena ufficializzato di considerare l’Europa democratica come nemica.L’amore è spesso, innanzitutto, una serie di fallimenti. E in questa ripetizione, le problematiche che ci sono state trasmesse hanno un ruolo importante. “Trancher” è il titolo dello spettacolo teatrale di Sophie Engel: propone un’indagine intima sul rapporto tra ebraismo e relazioni amorose, tra desiderio di emancipazione e obbligo di perpetuazione. Maëlle Partouche ha intervistato la regista per K., interpellandola su quei mostri del passato che si propone di stanare e sul modo in cui le questioni legate all’appartenenza ebraica risuonano oggi nella condizione femminile.
Benjamin Balint è oggi conosciuto soprattutto per il suo Kafka’s Last Trial: The Case of a Literary Legacy (Pan Macmillan, 2018), documentata e avvincente ricostruzione della complessa vertenza che ha portato i manoscritti di Franz Kafka dall’Europa in Israele. Studioso delle grandi figure della cultura ebraica e mitteleuropea e del complesso destino delle loro eredità Balint torna ora sull’onda di una nuova indagine: quella dedicata a Bruno Schulz, con il suo più recente Bruno Schulz: An Artist, a Murder, and the Hijacking of History (W. W. Norton & Company, 203). Qui ripercorre per K. la vita dell’artista-scrittore ebreo polacco e racconta la sorprendente sorte di parte della sua opera: affreschi originariamente realizzati nelle camere per bambini di un ufficiale nazista, riscoperte, sottratte a un oscuro destino da agenti israeliani e infine esposte a Yad Vashem. Non soltanto un’intervista: è un invito a riflettere sull’eredità culturale, sulla memoria collettiva e sul significato spesso ambiguo e controverso che assumono gli oggetti artistici e letterari nei momenti storici più turbolenti. Perché, come insegna il caso Kafka, l’identità di un autore e il “diritto di appartenenza” alla sua eredità non è mai un fatto puramente letterario: è anche sionismo, diaspora, storia, politica. E ora, con Schulz, quella domanda ritorna con nuove ombre e nuove domande. Non solo il destino di un artista, ma quello della memoria stessa.