La convergenza fra il linguaggio del revisionismo contemporaneo e la centralità della Shoah come prisma attraverso cui si tenta di interpretare ogni frattura politica mostra come il dibattito pubblico europeo stia vivendo un fenomeno che è nuovo solo in apparenza. L’ingresso sulla scena francese di Pankaj Mishra con Monde après Gaza, un testo che legge Israele come “presagio di un mondo occidentale in bancarotta” e che punta a ribaltare la memoria della Shoah contro il sionismo, è solo il segnale più recente. Non è un’operazione originale, e tuttavia la sua eco diventa oggi più forte, perché avviene in un clima intellettuale in cui la retorica della memoria è onnipresente e la competizione delle vittimizzazioni ha assunto un carattere geopolitico. Il saggio di David Rich, qui riproposto, inserisce questa dinamica nel quadro più ampio di un uso politico del genocidio degli ebrei che, anziché sottrarlo alle semplificazioni del presente, lo rende un’arma nella lotta simbolica globale. L’idea che la Shoah continui a esercitare un “peso morale sproporzionato” sulle narrazioni contemporanee è provocatoria solo per chi finge di ignorare che, negli ultimi anni, il genocidio è diventato sia un luogo di rimozione sia uno specchio deformante. In questo scenario, il discorso antisionista di Mishra non si limita a criticare Israele, ma cerca di riassegnare all’Occidente una colpa originaria da cui deriverebbe ogni successiva ingiustizia. È un’operazione intellettuale coerente con certe correnti globali, ma rischia di svuotare la Shoah della sua specificità storica per trasformarla in un elemento generico di accusa morale.
E mentre questo dibattito si infiamma, in Francia un’altra narrazione tenta di appropriarsi della stessa matrice ebraica per finalità opposte. La promozione del nuovo libro di Éric Zemmour, La messe n’est pas dite, si regge su un paradosso ormai noto: rivendicare una “rinascita giudeo-cristiana” che però chiede agli ebrei di abdicare alla propria storia e alle proprie differenze. Il testo di Gabriel Abensour illumina la continuità sotterranea tra questo immaginario nazionale e l’antigiudaismo cattolico, che ritorna sotto forma di un’assimilazione forzata, quasi un battesimo laico. La messa che Zemmour pretende non è un rito d’integrazione: è un sacrificio identitario. E l’applauso televisivo che lo accompagna riproduce un destino antico, quello del “juif métèque” che deve proclamare la propria fedeltà alla Francia mentre indica alla porta coloro che non entrano nella liturgia repubblicana.
In questo clima incandescente, la storia assume un ruolo di controcanto. Il centenario del YIVO, l’istituzione nata a Vilnius e sopravvissuta alla distruzione europea nella sua sede americana, ricorda che l’identità ebraica moderna non si è costruita nel mondo delle astrazioni ma in un lavoro quotidiano di ricerca, archivio, lingua, cultura materiale. L’intervista di Macha Fogel a Cecile Kuznitz restituisce la vitalità di un progetto intellettuale che ha attraversato guerre, migrazioni, dissoluzioni e rinascite. Il YIVO non è soltanto un laboratorio della cultura yiddish: è la prova che la modernità ebraica è fatta di stratificazioni, non di slogan identitari.
Fra chi tenta di riscrivere la Shoah come metafora politica universale e chi la usa come vessillo identitario per rafforzare narrative nazionali, ciò che sembra mancare è la postura più difficile: riconoscere la complessità senza trasformarla in arma. Questo non significa rinunciare alla critica, tanto meno all’analisi. Significa restituire alla memoria il suo spessore, non la sua utilità. E ricomporre un discorso pubblico in cui le istituzioni ebraiche trovino il coraggio di sottrarsi alla tentazione di seguire ogni vento del giorno, scegliendo invece una voce che non abbia paura di dire ciò che è scomodo ma necessario. Il nostro lavoro prova a muoversi in questa direzione: distinguere senza confondere, comprendere senza giustificare, e soprattutto mantenere vivo un senso di precisione storica in un tempo in cui la memoria rischia di diventare un campo di battaglia come tutti gli altri.