La pace attraverso il diritto: è ciò che l’Europa si ripete ogni mattina davanti allo specchio, per darsi coraggio. Se la giornata si preannuncia importante e richiede più forza, aggiunge anche le arti e le scienze agli strumenti della pace, cultura e ragione la migliore difesa contro la barbarie. Negli ultimi tempi, però, i bei discorsi che l’Europa ama rivolgere a se stessa sembrano aver perso smalto, come se non bastassero più a descriverla né a sostenerla nel proprio cammino. Al posto dell’immagine unitaria riflessa nello specchio emerge oggi un conflitto profondo sul significato stesso di ciò che l’Europa è. E questo conflitto, impossibile da ignorare, trova il suo nodo nel rapporto tra l’Europa e Israele. L’attualità lo ha ribadito: la cancellazione della partecipazione di Eva Illouz a una conferenza dell’Università di Rotterdam per via della sua affiliazione a Israele (ossia il suo incarico all’Hebrew University of Jerusalem, considerato “problematico” dagli organizzatori, come lei stessa ha raccontato in un’intervista a K. la Rivista), il dibattito che ha portato il Collège de France ad annullare il convegno “La Palestina e l’Europa”, le interruzioni al concerto dell’Orchestra di Israele alla Philharmonie di Parigi da parte di attivisti del boicottaggio. Ogni volta, una questione che può dirsi ebraica ha attraversato e diviso lo spazio pubblico; e ogni volta, è stato invocando il diritto che si è cercato di colmare la frattura. Ma ci si può davvero affidare solo a questo strumento per affrontare l’alternativa politica che si va delineando?
La filosofa Julia Christ prova, in queste pagine, a chiarire in che cosa consista la “questione ebraica del XXI secolo”, ricordando che – come un tempo le “questioni” nazionale, sociale o femminista – essa riguarda il significato stesso del progetto di emancipazione europeo. Ciò che è in gioco nel rapporto con Israele, suggerisce, è quanto resta della frattura che la Shoah ha aperto in quel progetto, mettendone a nudo l’impossibilità di garantirsi da sé. Gli europei hanno davvero superato la consapevolezza della propria fallibilità?
Il terreno della lotta contro l’antisemitismo è un osservatorio privilegiato per capire fino a che punto arrivi oggi l’autocomprensione dell’Europa, e quale spazio essa conceda alla possibilità del fallimento nella propria vocazione universalistica. È per questo che K. ha intervistato Katharina von Schnurbein, coordinatrice della Commissione europea per la lotta contro l’antisemitismo e per la promozione della vita ebraica. Von Schnurbein esprime un’ambizione chiara: un’Unione europea «liberata dall’antisemitismo». Ma tra questo obiettivo e la realtà politica resta un abisso, non facile da colmare. Come si può, nelle istituzioni europee, mantenere ferma la necessità di non arretrare sull’antisemitismo senza cedere alle illusioni?
A proposito delle scene violente avvenute il 6 novembre scorso alla Philharmonie di Parigi, quando alcuni attivisti del boicottaggio contro Israele hanno fatto irruzione nella sala con fumogeni, K. ripropone un testo dello scrittore e traduttore André Markowicz. Con grande precisione, egli descrive l’esplosione politica che attraversa oggi l’Europa e il conflitto crescente tra una sinistra radicale che scivola verso l’odio e l’ondata nazionalista che travolge l’Occidente. È anche un’occasione per i lettori che non lo conoscono di scoprire il lavoro che Markowicz dedica più volte alla settimana all’attualità politica sulla sua pagina Facebook: un luogo vivo di riflessione, spesso non in sintonia con K., ma sempre capace di stimolare il pensiero, anche contro se stessi.