# 24 / Editoriale

Nel dibattito contemporaneo sull’antisemitismo, il rischio maggiore non è l’eccesso di parole, ma la perdita di senso delle parole stesse. La Carta di Modena, al centro della riflessione di Vincenzo Pacillo, nasce dal conflitto tra la necessità di un linguaggio capace di riconoscere le differenze e la tendenza istituzionale a neutralizzarle. In un tempo in cui la democrazia sembra logorarsi nella fatica del riconoscimento reciproco, Pacillo riporta il discorso giuridico al suo compito più alto: restituire al diritto una semantica della responsabilità, in cui la tutela della libertà religiosa diventa parte essenziale della lotta contro l’oblio e la disumanizzazione.

Nella la tradizione dell’esilio, l’oblio è visto come un tradimento. Eppure la variante reazionaria del sionismo al potere in Israele se ne macchia spesso, rendendo irriconoscibile ciò che vorrebbe rivendicare, a cominciare proprio dallo spirito del sionismo. Lo storico tedesco Michael Brenner riporta alla luce nel suo testo ciò che del pensiero dei padri fondatori dello Stato di Israele è stato sepolto. Ripercorrendo gli scritti di Theodor Herzl, David Ben Gurion e persino Vladimir Ze’ev Jabotinsky mette l’accento su come ciascuno di essi ha sottolineato il proprio attaccamento agli ideali di uguaglianza civica e di coesistenza pacifica tra i popoli.

Lo scorso settembre è stato pubblicato da Grasset La part sauvage, di Marc Weitzmann, un libro-omaggio dedicato allo scrittore americano Philip Roth. La copertura mediatica che ha circondato la pubblicazione ha dato credito alla tesi di un cambiamento epocale sostenuto a malincuore da Weitzmann: da sovversivo, Roth sarebbe diventato antiquato. Alexandre Journo ci propone una prospettiva diversa, dando risalto all’impossibile rapporto di Roth con la sua ebraicità e interrogandosi su cosa possa ancora avere di attuale l’ironia tagliente del «ribelle inutile in tempo di pace».

A trent’anni dal suo assassinio, cosa resta da commemorare di ciò che rappresentava Yitzhak Rabin? Il 4 novembre, gli israeliani e i loro rappresentanti dovranno dire qualcosa su ciò che accadde quel giorno, quando il militante ultranazionalista religioso Yigal Amir uccise colui che si era appena pronunciato a favore del processo di pace. Cosa potranno dire gli ammiratori dell’assassino, alcuni dei quali siedono nel governo, e in generale il campo degli oppositori alla strada aperta da Rabin? E cosa troveranno da rispondere coloro che non hanno dimenticato la speranza, anche se abortita, che Rabin rappresentava? Questa settimana, prima di ritornare nella prossima uscita di K. sulle conseguenze politiche dell’assassinio, pubblichiamo alcuni estratti dell’ultimo libro di Denis Charbit: Yitzhak Rabin, la paix assassinée ? Une mémoire fragmentée (Éditions Lattès). Vi si ricorda il contesto dell’epoca e, soprattutto, l’impossibile e paradossale commemorazione del 4 novembre che si svolge da allora. Perché, in un Paese profondamente diviso, sono gli avversari politici di Rabin a dichiarare chiaramente il loro ingannevole gioco: «Abbiamo il dovere morale di commemorarlo e il dovere politico di dimenticarlo».

Nel dibattito contemporaneo sull’antisemitismo, il rischio maggiore non è l’eccesso di parole, ma la perdita di senso delle parole stesse. La Carta di Modena, al centro della riflessione di Vincenzo Pacillo, nasce da questo punto di frizione: tra la necessità di un linguaggio capace di riconoscere la differenza e la tendenza istituzionale a neutralizzarla. In un tempo in cui la democrazia sembra logorarsi nella fatica del riconoscimento reciproco, Pacillo riporta il discorso giuridico al suo compito più alto: restituire al diritto una semantica della responsabilità, in cui la tutela della libertà religiosa diventa parte essenziale della lotta contro l’oblio e la disumanizzazione.

“Tradimento” è il termine appropriato per descrivere ciò che la coalizione di governo al potere in Israele sta facendo allo spirito del sionismo. Mentre ci si augura che la fine della guerra a Gaza sia l’occasione per Israele di uscire da questa situazione, lo storico tedesco del sionismo Michael Brenner ricorda cosa avevano in mente i padri fondatori, di tutte le tendenze politiche, quando pensavano alla creazione di uno Stato ebraico democratico.