# 18 / Editoriale

Sin dalla sua fondazione K., la rivista si è interessata, talvolta con preoccupazione, al futuro e alle riconfigurazioni del legame che unisce gli ebrei all’Europa e l’Europa agli ebrei. Questa settimana vi presentiamo uno dei nostri interlocutori privilegiati in questa riflessione, l’Institute for Jewish Policy Research, con una intervista al suo direttore, Jonathan Boyd, fatta da Elie Petit. Ragionare su ciò che i dati demografici e sociologici delineano per il futuro degli ebrei in Europa e sulle preoccupazioni per la loro precarietà è anche l’occasione per una discussione approfondita su come comprendere e misurare l’ascesa dell’antisemitismo europeo, mettendo in discussione l’attenzione agli incidenti antisemiti per interrogarsi su come l’atmosfera politica e mediatica stia diventando opprimente per gli ebrei.

Il sionismo dell’inizio del secolo scorso alimentava il sogno – un po’ folle, bisogna ammetterlo – di un ritorno in Terra d’Israele. Ma le prime ondate di aliyot si scontrarono con la realtà e lo shock culturale all’arrivo nella Palestina ottomana. In questo interstizio tra sogno e realtà è germogliata l’identità culturale e politica israeliana e, secondo la tesi del linguista Cyril Aslanov, si è giocato il destino della letteratura ebraica. Nel suo testo si ripercorre il percorso di due autori emblematici del rinnovamento letterario legato alla dinamica sionista: Bialik e ‘Agnon. Partendo dai cambiamenti e dalle delusioni legati al loro insediamento in Israele, Cyril Aslanov si interroga: questi autori divisi tra due mondi hanno inventato uno stile propriamente israeliano o sono i rappresentanti di una letteratura irriducibilmente diasporica ed europea?

Lo scorso luglio abbiamo pubblicato l’inchiesta di Raphaël Amselem sul caso Busselmans in Belgio. Poco tempo dopo la rivista HUMO, che aveva pubblicato le dichiarazioni incriminate, ha dato nuovi motivi di preoccupazione: ora vi si trova la caricatura di un ebreo travestito da macellaio infanticida. Joël Kotek analizza le immagini con cui questo sulla stampa belga torna questo tropo antisemita medievale, cosa che non sembra turbare eccessivamente l’Europa. È stato necessario che il Festival delle Fiandre di Gand cancellasse la partecipazione dell’Orchestra Filarmonica di Monaco di Baviera a causa della nazionalità del suo direttore, l’israeliano Lahav Shani, per attirare l’attenzione della Germania su ciò che sembra essere diventato normalità in Belgio. Ed è stato necessario che il ministro della Cultura tedesco parlasse di «vergogna per l’Europa» perché il governo belga questa volta condannasse ciò che sta accadendo nel suo Paese. Non avendo il peso del governo tedesco, K. può solo segnalare la diffusione di tali caricature nell’immaginario europeo, e lanciare l’allarme sul ritorno delle fantasie con cui si giustificano tutte le ostracizzazioni.

L’Institute for Jewish Policy Research è un ente britannico la cui missione è studiare e sostenere la vita ebraica in Europa. In questa intervista, Jonathan Boyd, il suo direttore, discute le principali sfide che l’ebraismo europeo deve affrontare in un momento di cambiamento e riflette su come misurare e comprendere l’aumento dell’antisemitismo.