L’attualità continua a imporsi: oltre a publicare il dossier estivo già previsto, intitolato La percezione e il fine non possiamo ignorare l’annuncio dello sciopero generale, previsto in Israele il prossimo 17 agosto su iniziativa delle famiglie degli ostaggi e di gran parte della società civile.
Prima mobilitazione di questa portata dopo le battaglie contro la riforma giudiziaria del 2023, questo sciopero cristallizza oggi la contrapposizione frontale tra il governo e la società civile, che si è mobilitata su una questione fondamentale: il ruolo che deve avere il salvataggio degli ostaggi nella conduzione di una guerra che si sta impantanando e i cui obiettivi dichiarati si allontanano ogni giorno di più. Bruno Karsenti analizza la mobilitazione alla luce del principio fondante dello Stato – garantire la sopravvivenza degli ebrei, in Israele come nella diaspora – e mostra come la scelte sulla guerra, così come sugli ostaggi, mettono a nudo la crisi ideologica che attraversa il sionismo ponendo a rischio il futuro del Paese e l’unità del mondo ebraico.
In attesa del rientro dalle vacanze estive, proponiamo ogni settimana un dossier, una raccolta di testi organizzati attorno a un tema; un’occasione anche per riscoprire testi già pubblicati, e magari condividerli con chi ancora non conosce K., la rivista. Il nostro archivio è aperto, vi invitiamo a curiosare tra le centinaia di testi pubblicati in oltre quattro anni di impegno. Questa settimana
DOSSIER La percezione e il fine
Un itinerario attraverso zone liminali dell’immaginario ebraico, dove la percezione incontra il fine e l’identità si misura con la propria ombra. Perché gli ebrei dovrebbero servire a qualcosa? Keith Kahn-Harris, con un tocco di provocazione, invita a considerare la leggerezza e persino la superfluità come risposta alla pretesa di essere indispensabili. Non siamo mai altro che il penultimo ebreo: sul palcoscenico, la redazione di K. riflette sulla “fine infinita”, tra voci, immagini e musica. I cripto-ebrei oggi fra fantasmi e fantasie, Romain Moor indaga le vite di chi scopre tardi di discendere da marrani, oscillando tra racconto e verità. In Tra due mondi, ovvero il fantasy ebraico nel cinema, David Haziza esplora la demonologia ebraica, dal dybbuk al golem, come specchio del trauma e della ricerca spirituale. I Khazari, gli ebrei e noi di David Lemler rilegge il Kuzari di Yehuda Halevi, per mostrare come un testo medioevale possa ancora offrire vie d’uscita alle aporie politiche e identitarie contemporanee. Cinque sguardi che interrogano il peso e la leggerezza di esistere, il mito e il suo potere di rivelare e disorientare.
Perché gli ebrei dovrebbero servire a qualcosa?
Keith Kahn-Harris, autore di Everyday Jews: Why the Jewish people are not who you think they are, mette in discussione, con un pizzico di provocazione, la strana e alienante tendenza ebraica di volersi rendere indispensabili al mondo. E se la risposta più bella all’antisemitismo fosse in fin dei conti arrogarsi il diritto alla frivolezza, concedersi un’esistenza perfettamente superflua?
Non siamo mai altro che il penultimo ebreo
A dicembre 2024 la redazione di K. ha portato la rivista a teatro. Il tema della serata, che ha visto la redazione alternarsi sulle tavole del palcoscenico, era L’ultimo degli ebrei. Ci sono state interviste dal vivo, video, letture e interventi musicali, e Ruben Honigmann ha proposto un ragionamento sulla fine infinita. .
I cripto-ebrei oggi fra fantasmi e fantasie
Chi, da bambino, non ha sognato di scoprire un lignaggio segreto, un’origine oscura che avrebbe potuto rispondere alle domanda assillanti sull’identità? Onnipresente nella narrativa, a volte il tropo della “saga familiare” – ben identificato da Freud – si intreccia con una parvenza di realtà. Romain Moor parte da questo tenue punto di congiunzione per indagare le storie di coloro che scoprono di essere marrani, molto tempo dopo.
Tra due mondi, ovvero il fantasy ebraico nel cinema
Dybbuk, golem, zombie, spettri, lupi mannari e altri Mazzikim: la demonologia ebraica ha invaso il cinema, ma cosa può dirci? Tra ricordi della Shoah, riflessioni sul male, sul corpo o sull’inconscio, o ancora sulla ricerca di una religiosità alternativa, proponiamo un testo che abbiamo pubblicato in occasione della mostra The Dybbuk. Phantom of the lost world, al MahJ di Parigi. Un’indagine di David Haziza – autore di Mythes juifs: Le retour du sacré uscito per i tipi di Calmann-Lévy nella collana Diaspora – su uno dei contributi più singolari del giudaismo all’arte e alla rappresentazione.
Come mai un’opera classica del pensiero ebraico scritta in arabo nel XII secolo che rivendica la superiorità assoluta degli ebrei e dell’ebraismo viene citata sia dall’estrema destra israeliana che dalle frange più radicali dell’antisionismo? Per dissipare questo mistero e discutere le errate interpretazioni di questo testo David Lemler si è immerso nel Kuzari di Yehuda Halevi. La sua interpretazione rivela un’utopia inaspettata, quella dello Stato ebraico dei Khazari, la cui funzione critica potrebbe aiutarci a sfuggire alle aporie contemporanee.