Lo scorso giovedì abbiamo ricordato che le uscite estive di K. sono dedicate, ogni settimana, a un dossier: raccolte di testi organizzate attorno a un tema, scelto non per evadere l’attualità – scrivevamo – ma per interrogarla da un’altra angolazione, senza promessa di sollievo ma con la volontà di fare spazio al pensiero.
È anche un’occasione per riscoprire testi già pubblicati, e magari condividerli con chi ancora non conosce K., la rivista. Il nostro archivio è aperto, vi invitiamo a curiosare tra le centinaia di testi pubblicati in oltre quattro anni di impegno.
Dal dossier abbiamo scelto un testo che abbiamo intitolato semplicemente Odessa: in una città dove il vento sa di esilio e la lingua è un impasto di storie, la guerra ha ridisegnato i confini dell’identità. Joseph Roche racconta una comunità ebraica assediata ma viva, che fugge e resiste, che prega e ricorda. Nei corridoi della sinagoga di via Uspenska, tra kippah mimetiche e salmi sussurrati si combatte un’altra battaglia: salvare l’anima ebraica della città che Isaac Babel chiamava “la stella dell’esilio”. Non è nostalgia, è sopravvivenza, tra missili e circoncisioni ritrovate, Odessa cerca ancora se stessa. Una città né russa né ucraina: semplicemente e profondamente ebraica.
Questa settimana abbiamo scelto di dare spazio ai racconti di viaggio e ai reportage, il dossier si intitola “Cartoline e reportage”. Gli amanti dei personaggi e dei luoghi leggendari potranno partire con Benny Ziffer per l’Albania, sulle tracce del falso messia Sabbatai Zevi o scoprire, nell’intervista a Ber Kotlerman, i ricordi di un’infanzia trascorsa nella regione autonoma ebraica dell’URSS, il Birobidžan. I sogni di esotismo saranno invece appagati dal racconto della spedizione di Anshel Pfeffer nel cuore della foresta tropicale del Suriname, dove si trovano i resti di una comunità ebraica autonoma. Su un tono più grave, invece, i reportage dedicati a Odessa, di Joseph Roche, e il testo di Yeshaya Dalsace, che interrogano la persistenza della vita e della cultura ebraica in un’Ucraina devastata dalla guerra.