È un momento di crisi profonda, una posizione puramente etica – per quanto legittima – non può bastare. K., la rivista ogni settimana propone analisi sociali e politiche, cerca di identificare le forze e le logiche in gioco e prova a dare spazio alla discussione pubblicando testi di approfondimento. Lanciando oggi l’edizione italiana, espandiamo il nostro impegno in nuovi territori linguistici. Ad aprile trentasei membri del Board of Deputies of British Jews hanno affermato l’impossibilità di rimanere in silenzio di fronte alla perdita di vite umane. Il presidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi, Joseph Schuster, ha chiesto al governo israeliano di consentire l’invio di aiuti a Gaza.
Quando la scorsa settimana la rabbina Delphine Horvilleur ha pubblicato un editoriale intitolato Gaza/Israele: ‘Ama (davvero) il tuo prossimo, rifiuta di tacere’, in cui esprimeva il suo sgomento, le reazioni sono state estremamente violente. Gli antisionisti le hanno contestato di non avere parlato prima, e di aderire a un “fronte dei buoni”, per di più in ritardo, per riabilitarsi. Ed è arrivata l’accusa di tradire Israele e svendersi all’opinione pubblica mondiale. Il dibattito pubblico è degenerato a tal punto che le opposte fazioni sembrano soprattutto volersi mettere reciprocamente a tacere, anche quando viene condannato ciò che è impossibile non condannare.
Le analisi restano necessarie, ma questa settimana K. ha deciso di allargare la prospettiva proponendo ai suoi lettori il discorso tenuto dallo scrittore americano Jonathan Safran Foer a Genova, dove ha ricevuto il Premio internazionale Primo Levi. È necessario mettersi in discussione, ha detto, e mettere in discussione il mondo in cui viviamo e l’indifferenza con cui accettiamo la sofferenza che vi alberga. La nostra negligenza e la nostra capacità di distogliere lo sguardo e rifugiarci nel disimpegno sono elementi di quell’indifferenza che permette ai fascismi di germinare. È necessario agire, e per Safran Foer agire, così come reagire, è impossibile se non ci si sente direttamente implicati in quello che succede. La tradizione ebraica porta a una etica universale della preoccupazione che è anche rapporto diretto con i problemi, una virtù morale che deve predisporci a una estrema attenzione alle possibili storture del mondo. Un elemento che dovrebbe immunizzare gli ebrei dai fascismi. Ma l’indifferenza esiste, ed esistono i fascismi. Per Safran Foer bisogna allora chiedersi cosa significhi assumere una responsabilità, in particolare quella che deriva dall’appartenenza ebraica. Essere turbati impone di passare all’azione. Il fascismo marcia di pari passo con l’indifferenza.
E inoltre, nelle edizioni internazionali:
Sono molti i segnali d’allarme che arrivano dalla Svezia. Dagli slogan incendiari delle grandi manifestazioni anti-israeliane che hanno accompagnato a Malmö l’edizione 2024 dell’Eurovision all’aver dato i natali a due idoli dell’antisionismo più radicale. Quanto antisemitismo c’è davvero in Svezia? Come si comportano le istituzioni? L’inchiesta condotta da David Stavrou affronta il tema sul lungo periodo raccontandone sia gli sviluppi che le risposte della politica.
Freud era un ebreo ateo che adorava suo padre ed era segretamente innamorato della madre, nonché l’autore di un radicale ripensamento della morale sessuale. Ma era anche un borghese viennese razionale e controllato che nascondeva i suoi impulsi omosessuali (nella corrispondenza privata). I paradossi e le contraddizioni del fondatore della psicoanalisi – che iscrivono la sua singolarità in uno specifico tessuto socioculturale e la sua capacità di rottura in una tradizione – sono raccontati in Freud une biographie intellectuelle, di Joël Whitebook, la cui traduzione francese è stata da poco pubblicata da Éditions Ithaque. Dopo l’estratto sulla dualità del rapporto di Freud con sua madre, pubblicato tre anni addietro, K. ha selezionato dall’edizione francese alcune pagine sul legame intrinseco tra psicoanalisi ed ebraismo, rivendicato da Freud a partire dalla tradizione mosaica iconoclasta.