Politica

Il 15 luglio 2006 Amos Luzzatto[1] scriveva un’articolata riflessione sulla crisi mondiale in atto. Era appena esplosa la cosiddetta seconda guerra del Libano, scatenata dal rapimento da parte di Hetzbollah di…

Se il messianismo rappresenta senza dubbio la piĂą grave minaccia interna per il futuro di Israele, esso si declina tuttavia al plurale. Perle Nicolle-Hasid e Sylvaine Bulle l’affrontano qui nella diversitĂ  delle sue correnti partendo da una questione fondamentale: il rapporto con il sionismo realizzato, cioè con lo Stato. Ma che si tratti dei realisti che cercano di fare dello Stato uno strumento del messianismo, o che si tratti dei puristi che se ne distaccano per vivere secondo l’Israele ancestrale, il presente della redenzione schiaccia l’orizzonte del sionismo. 

Su impulso delle famiglie degli ostaggi e di gran parte della societĂ  civile, il 17 agosto sarĂ  sciopero generale, per denunciare la strategia militare a Gaza, considerata un vicolo cieco e un aggravamento delle conseguenze della guerra per i civili palestinesi, per gli ostaggi e per i militari israeliani. Prima mobilitazione di ampia portata dopo la crisi relativa alla riforma giudiziaria nel 2023, fotografa la frattura politica in Israele. Bruno Karsenti vi legge il richiamo a questioni fondamentali: il principio fondante dello Stato ebraico e il futuro del progetto sionista.

Il conflitto tra Israele e l’Iran dei mullah – che al momento della stesura di questo testo parrebbe essersi chiuso – ha fatto luce sul senso stesso che ha la guerra per Israele. Privando la Repubblica Islamica dell’Iran dei mezzi necessari a perseguire i suoi propositi di annientamento, Israele ridefinisce le condizioni concrete della propria sicurezza. Si impone allora, con rinnovata urgenza, la questione della prosecuzione di una guerra interminabile e sanguinosa a Gaza. Ma lo scontro che si è appena concluso solleva anche un interrogativo sulla passività dell’Europa di fronte alle minacce criminali rivolte da decenni contro lo Stato d’Israele e contro gli ebrei, una passività che non è altro che il rovescio della medaglia della sua indifferenza verso il destino del popolo iraniano.

Mentre prosegue l’operazione israeliana volta a decapitare il regime di Teheran e a colpire il suo programma nucleare, provocando una reazione che investe tutto lo Stato ebraico, Bruno Karsenti e Danny Trom si interrogano sul significato politico di questa grande svolta del conflitto in Medio Oriente. Rispetto alla distorsione del sionismo rappresentata dall’attuale condotta della guerra a Gaza, la guerra contro l’Iran ha un significato completamente diverso, sia per gli israeliani che per l’intero mondo ebraico.

In Des sadiques au cœur pur. Sur l’antisionisme contemporain (Éditions Hermann, 2025), il filosofo Gérard Bensussan analizza le trasformazioni ideologiche dell’antisionismo contemporaneo. In questo estratto, si sviluppa – all’ombra del 7 ottobre – una riflessione sulla sofferenza palestinese, tra responsabilità etica e lucidità politica.

Dall’attacco del 7 ottobre e la guerra condotta da Israele a Gaza, la parola “genocidio” si è imposta nel dibattito pubblico, quasi una pietra di paragone. Simbolo di impegno intransigente per alcuni, non è piĂą di competenza del diritto: diventa imperativo morale assoluto. In questo testo Matthew Bolton analizza lo slittamento del termine — da accusa dal valore giuridico a condanna ontologica — e mostra come il suo uso, alimentato dalla teoria del “colonialismo d’insediamento”, porti a escludere qualsiasi possibilitĂ  di azione politica sulla guerra di distruzione a Gaza condotta dal governo Netanyahu. PoichĂ© affermando che Israele attua una logica di annientamento intrinseca alla sua stessa esistenza, si trasforma l’equazione “Israele = genocidio” in assioma di un’ideologia che rifiuta per principio qualsiasi soluzione politica al conflitto.